«Cercano ogni pretesto per far cadere un premier popolare»

Nei rapporti dell'ambasciata USA del 2002 diffusi da Wikileaks si difendeva Berlusconi da "un'opposizione senza argomenti"

Nuovi documenti di Wikileaks escono ogni giorno e anche che riguardano l’Italia. Uno, interessante, arriva oggi ed è del 2002, ambasciata di Roma. L’ambasciata usa formule molto a favore di Berlusconi, in sua difesa, e contro i tentativi di metterlo in difficoltà (e purtuttavia queste formule non hanno avuto un decimo di risalto sui maggiori quotidiani italiani di quelle citate e tirate per la giacchetta “contro Berlusconi”).

In realtà non c’è niente di strano: l’ambasciatore di allora, Ronald Spogli, simpatizzava evidentemente per il governo Berlusconi. L’ambasciatore di ora ne è più scettico, e più di lui l’incaricata d’affari Elizabeth Dibble. Abbiamo già visto che i loro giudizi non sono affatto così drastici come sono stati spesso spacciati, e discendono direttamente da quel che leggono sui giornali o si sentono raccontare. Quindi usarli per alludere a umori diversi delle amministrazioni americane nei confronti dei governi italiani è molto pretestuoso e ingannevole. I rapporti sono interessanti, a volte, per i fatti che raccontano, ma di certo non hanno rilevanze politiche di cui approfittare politicamente.

E quindi cosa racconta questo dispaccio del 2002, apparentemente scritto dall’incaricato d’affari dell’ambasciata William Pope (e registrato dal consulente dell’ambasciata Thomas Countryman, quello nella foto)? Esprime la preoccupazione dell’ambasciata per un rapporto di un ufficio del Dipartimento di Stato sui diritti umani in Italia di cui il Ministero degli Esteri italiano si è lamentato. Nel lungo rapporto si denunciavano abusi e violazioni nelle carceri e violenze della polizia al G8 del 2001 di Genova e al Global Forum di Napoli dello stesso anno, lentezza dei processi e abusi nell’uso dei pentiti (niente che non sia ampiamente dimostrato dai fatti anche da noi).

Il rapporto di Pope racconta delle proteste del Ministero degli esteri italiano e del ministro Scajola a cui l’ambasciata ha dovuto rispondere senza istruzioni da parte del Dipartimento di Stato. Spiega che i giornali italiani “ci sono andati a nozze”, citando titoli e parte del testo dell’articolo di Repubblica uscito il 5 marzo 2002 (curiosamente, traduce “undici” con “fifteen”). E racconta delle proteste del direttore dell’ufficio Nord America del Ministero degli Esteri, Geri Schiavoni, oggi ambasciatore a Bogotà (definito uno di solito cortese e beneducato, ma che stavolta si è infuriato).

«un rapporto così lungo, sull’Italia? Scrivete così tanto di un’altra democrazia?»

Schiavoni, si riferisce, si era lamentato con l’ambasciata che una analisi come quella contenuta nel rapporto non sia stata posta “nel giusto contesto”, lavoro che sarebbe spettato all’ambasciata. Pope aggiunge, con una formula istruttiva sulla distinzione tra ciò che i dispacci raccontano e ciò su cui danno opinioni:

“Commento: siamo d’accordo. Fine commento”

Pope riferisce di tutte le spiegazioni che ha cercato di dare alle proteste italiane, moderando la portata del rapporto così come era stata riassunta dai giornali. Poi spiega che c’è stato un incontro diretto tra l’ambasciatore e il ministro Scajola

«che è sotto il tiro dell’opposizione per i fatti del luglio scorso soprattutto, come abbiamo spiegato, perché il centrosinistra ha pochissimi argomenti validi per convincere l’opinione pubblica»

Anche l’ambasciatore ha spiegato a Scajola che il rapporto parla dell’Italia in modi del tutto simili a quelli usati per altri paesi europei come la Germania o la Francia, ma malgrado Scajola ammetta che il testo si mostri diverso dalle sintesi giornalistiche, non si rassegna al fatto che si siano forniti appigli all’opposizione. Segue poi la parte di commento vero e proprio di Pope, che si dice “insoddisfatto” del rapporto per come riferisce degli scontri al G8 e dei problemi giudiziari di Berlusconi e preoccupato per le strumentalizzazioni della stampa.

Non vogliamo vedere una situazione già delicata – nella quale il governo degli Stati Uniti è stato trascinato nelle accuse finora deboli dell’opposizione di centrosinistra contro un governo relativamente popolare – peggiorare ulteriormente. In assenza di altri argomenti efficaci, i parlamentari dell’opposizione e i loro alleati sulla stampa continueranno a ritirar fuori la gestione del G8 da parte del governo e le questioni giudiziarie di Berlusconi. E d’ora in poi proclameranno – vero o falso che sia – il “sostegno” del governo degli Stati Uniti alla loro opinione. Speriamo che i nostri contatti al Ministero degli Esteri, come il ministro Scajola, leggano il rapporto e passino ad altro, anche se ci aspettiamo altri confronti una volta che avranno trovato il tempo di leggerlo attentamente. Sfortunatamente, non siamo in grado di gestire il tono delle sintesi giornalistiche, e come abbiamo detto la guerra sui media è una continuazione della politica con altri mezzi. L’opposizione italiana continuerà a usare ogni occasione che capita nel suo sforzo di spodestare un primo ministro popolare, e noi gliene abbiamo fornite di nuove.