Il business dell’oppio in Afghanistan

L'elemento imprescindibile per la comprensione del collasso afghano

di Roberta Esposito

Afghans watch as authorities burn 16 tonnes of narcotics on the outskirts of capital Kabul on March 4, 2010. A stash including heroin, morphine, hashish and different types of chemical liquids used for drug production was incinerated by police in Kabul. Some 92 percent of the world's opium comes from Afghanistan, making the country the world's biggest supplier, a UN report released last year said. AFP PHOTO/BEHROUZ MEHRI (Photo credit should read BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)
Afghans watch as authorities burn 16 tonnes of narcotics on the outskirts of capital Kabul on March 4, 2010. A stash including heroin, morphine, hashish and different types of chemical liquids used for drug production was incinerated by police in Kabul. Some 92 percent of the world's opium comes from Afghanistan, making the country the world's biggest supplier, a UN report released last year said. AFP PHOTO/BEHROUZ MEHRI (Photo credit should read BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)

Continuano a crescere grassi i papaveri in Afghanistan e con loro cresce l’inestimabile business dei talebani, che hanno rafforzato la propria posizione in una terra oramai al collasso. Tanto ricca è stata l’annata che gli analisti degli uffici antidroga delle Nazioni Unite stimano di rivedere al rialzo la produzione mondiale del 2008. Non a caso i campi afghani di papavero si collocano nel primato con 4100 tonnellate, in poche parole quasi il 90% della produzione totale. Il direttore esecutivo dell’office on drug and crime delle Nazioni Unite , il cui quartiere generale si trova a Vienna, aveva stimato in uno dei rapporti più recenti che in pochi anni l’Afghanistan si sarebbe posizionato nel campo dell’oppio al primo posto per la produzione. Parole profetiche le sue, perché nonostante questa terra sia stata liberata dal regime dei talebani, questi ultimi hanno rafforzato la propria posizione riorganizzandosi in molte aree, dando costante filo da torcere sia alle truppe regolari afghane sia ai più equipaggiati e addestrati soldati Nato che partecipano alla missione Isaf.

Ripercorrendo gli ultimi anni si stenta a credere che il calcolo della coltivazione e produzione di oppio abbia toccato il punto più basso nel 2001, ultimo anno del governo talebano e di presenza visibile in Afghanistan di Osama Bin Laden: ma da quel momento la ripresa di questa attività è cresciuta in modo esponenziale. Come spiegarselo? Molto semplice, il business dell’oppio è realmente facile da mettere in piedi ed è così remunerativo che appena il neonato stato afghano ha tentato i primi accenni di passi democratici gli stessi spazi di libertà sono stati calpestati ingiustamente dai signori della guerra, identificabili in trafficanti internazionali disposti a qualsiasi cosa pur di mettere le mani sulle coltivazioni di papavero. Scenario poco rassicurante che mette sempre più in discussione le riprese di ricostruzione del paese: talebani da una parte e signori della guerra dall’altra poco propensi a chinare il capo dinanzi al presidente Karzai, e sempre più decisi a controllare il mercato dell’oppio. Per comprendere meglio quanto i proventi del papavero siano serviti a ridare fiato alla guerriglia talebana con armi nuove, mezzi di comunicazioni efficaci, stipendi fissi, basta sfogliare le pagine del dossier prodotto dall’ex generale USA Barry McCaffrey (lo zar antidroga sotto l’amministrazione Clinton). Un dossier che riporta nei minimi particolari come gruppi di talebani siano riusciti a pianificare e costruire plotoni di migliaia di uomini, tutto grazie all’oppio. Mentre il mondo crede che stiano rintanati tra le loro montagne, dal 2007 i talebani si muovono utilizzando formazioni a livello di battaglione con oltre 400 uomini, forniti di eccellenti armamenti, da ciò si deduce che per ogni piantagione distrutta ne fiorisce un’altra automaticamente. Con il supporto delle foto satellitari fatte alle coltivazioni si è notato come negli ultimi tre anni le piantagioni siano triplicate, soprattutto nelle regioni di Nangahar e Kandahar. Che ci sia una relazione diretta tra papavero ed operazioni militari contro le truppe Nato, è stato dimostrato proprio negli ultimi mesi poiché numerosi attacchi si intensificano nell’area sud del paese, che ha come centro di riferimento proprio la città di Kandahar. Purtroppo non bastano i migliaia soldati dei paesi Nato che hanno aderito alla missione Isaf ed i gruppi antidroga (drug enforcement agency) a distruggere le piantagioni di droga, perché la natura del territorio cosi come favorisce ed agevola la latitanza dei talebani si rivela anche il principale aiuto per i trafficanti di oppio.

In Afghanistan oggi un kg di oppio grezzo vale sui cento dollari, e visto che la produzione è valutata intorno ai quattro milioni di chili si comprende meglio quale risorsa sia quella della coltivazione del papavero per i talebani e per i loro alleati, produzione cosi imponente che aumentano anche i sequestri, nei paesi confinanti, cosi come segnalano le recenti indagini delle Nazioni Unite. La maggior parte dei sequestri è avvenuta in Medio Oriente e nel’Asia sud occidentale, con un record assoluto in Iran sul cui territorio sono stati segnalati 174 tonnellate di oppio. Sul mercato della droga da papavero il mondo gioca una partita che sarà difficile vincere, almeno non in tempi brevi, specie se non ci sarà la collaborazione degli stessi paesi confinanti con l’Afghanistan, ma che al contrario collaborano al passaggio di droghe dalle zone di produzione a quelle di raffinazione e poi di consumo. Partita che si rivela deludente specie all’interno del paese stesso che vede in prima fila il fratello più giovane dello stesso presidente Karzai che negli ultimi mesi è stato indicato come uno dei più importanti trafficanti di oppio. Vero o falso che sia, questa “voce” rimbalza ogni qual volta si parla di iniziative del governo contro l’oppio.

(foto: BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)