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  • Martedì 16 novembre 2010

Blogger arrestato per offese all’Islam, in Palestina

L'ANP ha arrestato un blogger accusato di avere offeso l'Islam

L’arresto di un giovane blogger palestinese, che avrebbe sbeffeggiato la religione musulmana con insulti diffusi attraverso il suo profilo Facebook e alcuni blog, sta riaprendo l’eterno dibattito sull’estremismo religioso dei governi di ispirazione musulmana e sui limiti alle libertà individuali imposti dai dettami dell’Islam.

Waleed Hasayin ha ventisei anni e vive a Qalqilya, in Cisgiordania. A fine ottobre è stato arrestato mentre si trovava come ogni giorno in un piccolo internet cafè della sua città. Secondo le autorità palestinesi sarebbe lui l’apostata che da tempo, con il nome di Waleed al-Husseini, si prende gioco dei fedeli musulmani in giro per la rete. L’accusa, se confermata, potrebbe costargli l’ergastolo. Un gruppo su Facebook sta addirittura chiedendo la sua esecuzione.

Secondo l’Autorità Nazionale Palestinese, Waleed avrebbe creato un profilo su Facebook usando lo pseudonimo “Allah l’Onnipotente” e da lì avrebbe iniziato a promuovere l’ateismo e a prendere in giro i versi del Corano. Oltre al suo profilo Facebook, che nel frattempo è già stato cancellato, avrebbe anche pubblicato alcuni saggi in arabo sul blog Noor al Aqel (Luce della ragione) e in inglese su Proud Atheist, identificandosi come «un ateo di Gerusalemme». Secondo quanto scrive il New York Times, i saggi presentano «argomenti sofisticati con uno stile schietto e audace». In uno di questi, intitolato “Perché ho abbandonato l’Islam”, Waleed al-Husseini scrive che i musulmani «credono che tutti quelli che lasciano l’Islam siano o un agente o una spia di qualche stato occidentale, di solito Israele» e che non capiscono che «le persone sono libere di pensare e di credere in quello che vogliono». In qualche altro passaggio si è spinto ancora più in là descrivendo Maometto come un «maniaco sessuale» e Allah come un «Dio antropomorfo primitivo».

La finezza con cui alcuni di questi saggi sembrano essere stati scritti ha fatto dubitare che possano essere soltanto opera di Waleed. Suo padre, un barbiere che lavora a Qalqilya, e i suoi parenti stanno cercando di difenderlo dicendo che, sì, è laureato in informatica ma che non sarebbe mai in grado di filosofeggiare in questo modo, né tanto meno di riscrivere versi del Corano. Le autorità palestinesi hanno fatto sapere che non lasceranno trapelare nessun dettaglio sul caso finché Waleed resterà sotto interrogatorio e che la sua permanenza agli arresti è stata decisa soprattutto per proteggerlo. Nella sua città, infatti, anche moltissimi dei suoi coetanei sembrano favorevoli alla sua condanna.

Il quotidiano israeliano Ha’aretz ha dato molto spazio all’analisi del caso, sottolineando quanto il controllo sui social network e i conseguenti arresti stiano diventando una pratica sempre più diffusa nei paesi musulmani.

L’Autorità Nazionale Palestinese è uno dei governi arabi più liberali della regione. È controllata da elite secolarizzate che spesso hanno preso severi provvedimenti contro estremisti musulmani e attivisti connessi ad Hamas. Ma la rilevanza che aveva assunto l’attività di Waleed Waleed al-Husseini era ormai troppo forte perché potesse essere ignorata e non gli ha lasciato altra scelta. Si tratta del secondo arresto in due mesi in Cisgiordania, collegato a attività su Facebook. A fine settembre, un giornalista simpatizzante di Hamas è stato arrestato e detenuto per più di un mese dopo essere stato taggato in una foto considerata offensiva nei confronti del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Anche i leader di Hamas a Gaza hanno iniziato da tempo a monitorare Facebook in cerca di sospetti dissidenti, secondo l’attivista palestinese Mustafa Ibrahim. I proprietari degli internet cafè sono costretti a controllare l’attività online dei loro clienti e allertare gli agenti dell’intelligence se individuano qualcosa che possa andare in qualche modo contro Hamas e la sua interpretazione dell’Islam. A settembre, un giovane di Gaza è stato arrestato dopo avere pubblicato un articolo critico nei confronti di Hamas proprio su Facebook. Questo tipo di monitoraggio sui social network è sempre più diffuso nei paesi arabi. In Libano, quattro persone sono state arrestate la scorsa estate con l’accusa di avere diffamato il presidente Michel Suleiman, sempre su Facebook. Tutti e quattro sono poi stati rilasciati dietro pagamento di cauzione. In Syria, Facebook è stato totalmente bandito e in Egitto un blogger è stato condannato a quattro anni di carcere nel 2007 per avere insultato l’Islam e il presidente egiziano Mubarak.

(Foto credits Rina Castelnuovo, New York Times)