LinkedIn e il “sindacato di se stessi”

Dario Di Vico racconta sul Corriere della Sera il successo del social network per condividere le proprie esperienze lavorative

I mezzi di comunicazione tradizionali italiani stanno scoprendo in questi giorni LinkedIn, il social network fondato nel 2003 da Reid Hoffman per chi vuole condividere online le proprie esperienze lavorative e cercare nuove opportunità di impiego. Di LinkedIn si è occupato alcuni giorni fa il Tg1 e, con qualche approssimazione, oggi se ne occupa anche il Corriere della Sera con un articolo di Dario Di Vico segnalato in prima pagina. Il social network è molto utilizzato anche in Italia e, secondo Di Vico, sta diventando non solo un valido sistema di autopromozione ma anche una sorta di «sindacato di se stessi».

L’individuo frequenta la rete, accumula amicizie e poi gli viene voglia di riportare tutto sul territorio. Semmai qualcuno dovesse pensare che i social network hanno ammazzato l’associazionismo, almeno in un caso, si deve ricredere. E prestare un po’ di attenzione alla straordinaria storia di LinkedIn, il sito di social business lanciato nel maggio del 2003 a Mountain View in California. Ora ha raggiunto settanta milioni di utenti in 200 Paesi, 11 milioni in Europa e ben un milione in Italia (di cui il 36% di sesso femminile, un record europeo). I professional italiani lo amano, pubblicano scrupolosamente il loro curriculum, aggiornano la scheda e chiedono continuamente amicizia agli altri per aumentare il loro capitale di relazioni sociali e migliorare la posizione nel mercato del lavoro.

Ma sviluppano anche forum professionali che interessano le singole tribù: i dirigenti d’azienda, i designer, i pierre, gli informatici, i consulenti. A dimostrazione, però, che questa dovizia di relazioni comunque non basta, LinkedIn ha sprigionato in Italia un’ulteriore carica di socialità: sono già nati otto club in altrettante regioni italiane (Lombardia, Piemonte, Liguria, Friuli, Toscana, Emilia, Marche, Sardegna) e ne sono in gestazione almeno un’altra quindicina. Già dal nome (MilanIn, TurinIn, LiguriaIn, ToscanaIn, eccetera) i circoli conservano gelosamente il cordone ombelicale che li lega al sito-padre e non c’è nuova iniziativa che deroghi. E ci si iscrive solo dopo essersi fatti le ossa su LinkedIn. Ma qual è la molla che spinge a tanto attivismo? In tempo di Grande Crisi e di ristrutturazione continua delle aziende non può che essere la percezione della propria debolezza sul mercato.

Costruendosi un piccolo network l’individuo si sente meno solo, meno in balia delle decisioni prese dalle grandi organizzazioni. Per estensione potremmo dire che è un moderno modo per «farsi sindacato di se stessi», privilegiando il rafforzamento delle proprie chance individuali e non i riti della rappresentanza collettiva. Che questo sia l’approccio psicologico lo dimostra un piccolo episodio: LiguriaIn organizza un seminario chiamato «Kill the boss» dove si apprende non certo a uccidere il Capo, ma come raccontano i soci, «a rapportarti con chi può fare del male alla tua carriera».

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