La geoingegneria ha senso?

L’Economist fa il punto sulla scienza che vuole salvare la terra governando la terra

Se non riesci a prevenire e fermare il cambiamento climatico, tanto vale studiare qualche soluzione per conviverci al meglio, magari cercando di domare la natura. La geoingegneria si occupa di questo e, secondo i suoi sostenitori, potrebbe offrire l’unica alternativa praticabile per superare il problema del surriscaldamento globale. L’idea è contrastata da molti scienziati, che ritengono da scriteriati cercare di domare la natura con interventi che interesserebbero il nostro pianeta su larga scala, ma il dibattito va ormai avanti da diversi anni e questa settimana l’Economist cerca di tirare le fila, facendo il punto sull’intricata questione a pochi giorni dalla fine della conferenza di Nagoya della Convenzione per la Diversità Biologica.

Molte persone ritengono queste idee immorali, o una distrazione per chi cerca di far produrre alla gente meno anidride carbonica e c’è chi teme che queste idee possano portare a conseguenze inattese, tanto per cominciare. È stata questa la forza dell’opposizione che ha condizionato l’agenda di Nagoya. Ma quella forza è anche il riflesso del fatto che molti scienziati ora iniziano a prendere seriamente l’idea della geoingegneria. Nel corso degli ultimi anni le ricerche nel campo sono aumentate considerevolmente. Quello che a volte viene chiamato “piano B” sembra prendere forma nei laboratori e potrebbe presto uscire dai centri di ricerca.

Tra le idee prese maggiormente in considerazione per raffreddare il pianeta c’è quella di imitare il funzionamento di un vulcano. I vulcani emettono nella stratosfera, uno degli strati dell’atmosfera, grandi quantità di anidride solforosa. Questo gas forma delle piccola particelle di solfati che riflettono i raggi solari rispedendoli nello spazio. Questo fenomeno si verifica solamente quando un vulcano è in fase attiva, ma secondo i ricercatori il sistema potrebbe essere imitato per ridurre la quantità di calore che raggiunge il nostro Pianeta.

David Keith e i suoi colleghi della Università di Calgary hanno studiato il fenomeno per capire come riprodurlo artificialmente su larga scala. Al posto dell’anidride solforosa, Keith suggerisce di utilizzare l’acido solforico. In teoria, rilasciando il gas ad alta quota dovrebbe formarsi uno “schermo” di particelle utili per riflettere la luce solare. Secondo i ricercatori potrebbero essere sufficienti pochi aeroplani per coprire ampie porzioni dell’atmosfera rendendo efficiente, e poco costoso, il sistema.

La soluzione migliore sarebbe quella di creare un nuovo tipo di velivolo in grado di volare a un’altitudine tra i 20 e i 25 km dal suolo, spiegano i ricercatori. Questi mezzi, che nella forma ricordano i dirigibili, potrebbero rilasciare a ogni volo una decina di tonnellate di acido solforico e ne basterebbero 80 per rilasciare un milione di tonnellate di gas su base annua. Il costo dell’intera operazione sarebbe contenuto, e secondo le prime stime si potrebbe aggirare intorno ai due miliardi di dollari.

Se davvero si potessero rilasciare nell’atmosfera alcuni milioni di tonnellate di acido solforico ogni anno, la Terra potrebbe essere raffreddata di uno o due gradi, spiega il rapporto dei ricercatori confermando quanto sostenuto da Scott Barrett, docente della Columbia University, che definisce la geoingegneria chiamandola “l’economia dell’incredibile”. Il pensiero che un paio di miliardi di dollari all’anno possa risolvere il problema al posto degli investimenti da centinaia di miliardi di dollari per le politiche per le basse emissioni di anidride carbonica induce a pensare si tratti di un buon affare. Forse. Ma gli oppositori di questa idea tendono ad aggiungere la parola “Faustiano”.

Secondo i detrattori, la strada dell’acido solforico è estremamente pericolosa perché potrebbe avere effetti dannosi sullo strato di ozono. Nel 1991 l’eruzione del Monte Pinatubo, un vulcano delle Filippine, raffreddò temporaneamente il clima nella zona dell’eruzione, ma comportò anche una riduzione dei livelli di ozono nell’atmosfera, il gas che contribuisce a proteggerci dai raggi solari dannosi. I sostenitori della geoingegneria non sono d’accordo: il rischio è basso e l’immissione di acido solforico ritarderebbe la rigenerazione dell’ozono, ma non la arresterebbe, dunque potrebbe valerne la pena.

I modelli matematici per analizzare le possibili reazioni del clima alla soluzione proposta da Keith e colleghi non sono comunque incoraggianti. L’immissione di acido solforico potrebbe azzerare l’effetto del surriscaldamento globale, dunque dell’aumento delle temperature, ma potrebbe comunque poco contro il cambiamento climatico. Secondo le elaborazioni al computer, i due poli potrebbero continuare a surriscaldarsi, mentre ai tropici le temperature medie continuerebbero ad abbassarsi con una quantità inferiore di piogge.

Un recente studio suggerisce che il raffreddamento con un simile sistema porterebbe a cospicue riduzioni delle piogge e più in Cina che in India. Questo potrebbe avere delle conseguenze politiche, anche se entrambi i paesi con la geoingegneria potrebbero riavvicinarsi ai loro climi originari più di quanto potrebbero fare senza usare questi sistemi.

Comprendere fino in fondo quali potrebbero essere le conseguenze della geoingegneria sul clima non è semplice a causa della complessità dei sistemi e delle numerose variabili in gioco. Alan Robock della Rutgers University ha messo insieme un team per realizzare nuovi modelli al computer per affinare le previsioni sugli effetti della geoingegneria sul Pianeta. Questo lavoro su larga scala non è stato mai realizzato prima e potrebbe fornire nuovi indizi sull’efficacia delle proposte legate alla geoingegneria.

Oltre alla proposta di Keith, molti altri ricercatori negli ultimi anni si sono dati da fare per elaborare altri ipotetici sistemi per ridurre la quantità di anidride carbonica, il principale gas serra. Alcuni suggeriscono di favorire la crescita delle foreste o di far aumentare il plancton negli oceani attraverso l’utilizzo di alcuni agenti chimici, che consentirebbero di sottrarre più anidride carbonica grazie alla fotosintesi. Proposte molto costose e dagli esiti imprevedibili per gli ecosistemi, già messi a dura prova dal progressivo cambiamento del clima. Altri ancora propongono di sottrarre meccanicamente l’anidride carbonica dall’atmosfera, per poi immagazzinarla sottoterra. Infine ci sono gli “sbiancatori”, quelli che propongono di utilizzare particolari agenti chimici per rendere più bianche le nuvole, così da riflettere con più efficacia i raggi solari e ridurre l’esposizione al calore del pianeta.

Il problema è che molte delle soluzioni proposte dai sostenitori della geoingegneria non possono essere sperimentate con efficacia su piccola scala prima di un utilizzo su scala planetaria. Questo frena gli investimenti e offre un valido punto di appoggio ai detrattori, che si richiamano al principio di precauzione e invitano a non sostituirsi ai clicli naturali per cercare di domare il Pianeta e le sue complessità.