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  • Giovedì 28 ottobre 2010

La storia di Spatuzza e dell’attentato a Borsellino

Piccola guida per capire gli sviluppi apparsi sui giornali di oggi e diffidarne

di Francesco Costa

I giornali di oggi aprono quasi tutti allo stesso modo. “Stragi, il pentito riconosce uno 007”, scrive il Corriere della Sera. “Uno 007 nell’agguato a Borsellino” è il titolo di apertura di Repubblica. Il Messaggero invece “Borsellino, accuse a uno 007”. E via dicendo. La storia è quella dell’ex mafioso Gaspare Spatuzza e delle sue presunte rivelazioni riguardo la strage del 19 luglio 1992, quando un’esplosione in via D’Amelio, a Palermo, uccise il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Storia che comincia quindi molto lontano e il cui ultimo episodio è descritto dai quotidiani in maniera molto approssimativa, complice forse l’esigenza di sintesi richiesta dai titoli. Cominciamo dall’inizio, quindi.

La strage di via d’Amelio
Paolo Borsellino muore a causa dell’esplosione di una FIAT 126 contenente cento chilogrammi di esplosivo. La giustizia italiana celebra tre processi diversi per individuare esecutori e mandanti dell’attentato. Il primo processo ha portato alla condanna all’ergastolo di tre mafiosi, Orofino, Scotto e Profeta, esecutori della strage. Li accusa il pentito Vincenzo Scarantino, la cui testimonianza risulta fondamentale, insieme a quella di Salvatore Candura. Nel 1997 comincia il secondo processo, per individuare i mandanti: sette mafiosi vengono condannati all’ergastolo, tra cui Totò Riina. Poi c’è un terzo stralcio, partito pochi mesi dopo il secondo, riguardo altri mafiosi responsabili a vario titolo dell’attentato. Nel 1998 però Scarantino ritratta tutto. Nel 2007 la procura di Caltanissetta, titolare dell’inchiesta, la riapre: principalmente per scoprire – come testimonianze vaghe e non confermate lascerebbero intendere – se apparati dello stato deviati abbiano avuto un ruolo nella strage. I sospetti si intrecciano a quelli, simili, riguardo la strage di Capaci, nella quale morì il giudice Giovanni Falcone, e nel tentato attentato dell’Addaura, sempre ai danni di Falcone.

Gaspare Spatuzza
È il personaggio centrale. Mafioso di Brancaccio, quartiere di Palermo: comincia come piccolo manovale e diventa boss e alleato dei fratelli Graviano. Fa parte del commando che uccide padre Pino Puglisi nel settembre del 1993. Viene arrestato in modo rocambolesco nel 1997, si rifiuta di collaborare con la giustizia. Viene condannato all’ergastolo per l’omicidio di don Puglisi e ritenuto responsabile di altri vari omicidi di mafia, ma non risulta avere a che vedere con gli omicidi di Falcone e Borsellino. Si rifiuta di collaborare con la giustizia: nel 2003 circola qualche indiscrezione sul fatto che stia parlando ai pm e la sorella si affretta a scrivere a Repubblica e smentire tutto. A un certo punto però inizia a collaborare per davvero: è il giugno del 2008.

La legge sui pentiti
La disciplina dei collaboratori di giustizia è regolata da una legge votata dal Parlamento italiano praticamente all’unanimità il 13 febbraio 2001. Stabilisce che un collaboratore di giustizia ha un tempo massimo di sei mesi per dire tutto quello che sa, e il tempo inizia a decorrere dal momento in cui il pentito dichiara la sua disponibilità a collaborare. I benefici di legge garantiti dalla legge vengono erogati solo dopo che viene provata l’importanza, la veridicità la novità delle dichiarazioni. Spatuzza collabora, e le cose che dice in sei mesi stravolgono tutto quello che i magistrati credevano di avere accertato nei sedici anni precedenti.

Che cosa dice Spatuzza
Oltre a fornire dettagli su vari reati per cui era già stato condannato, Spatuzza si denuncia di un crimine per cui non era mai stato accusato: l’attentato a Paolo Borsellino. Dice che a lui venne commissionato il furto della FIAT 126 che sarà poi riempita di esplosivo. Smentisce completamente quanto aveva raccontato Vincenzo Scarantino. Per confermare la credibilità della sua versione, dice ai magistrati di controllare i freni della FIAT 126, dicendo di averne messi di nuovi prima dell’attentato. Il dettaglio torna, insieme a molti altri. Scarantino aveva già ritrattato tutto, alla fine degli anni Novanta, ma i magistrati non gli avevano creduto. Candura ammette di essersi inventato quello che aveva raccontato. Un depistaggio in piena regola, del quale non sono noti con certezza i mandanti né gli scopi. Fatto sta che si ricomincia da capo.

L’attendibilità di Spatuzza
Siamo nell’aprile del 2009. I numerosi riscontri trovati alle parole di Spatuzza fanno sì che la procura di Caltanissetta lo consideri attendibile. La stessa cosa viene detta dalla procura di Firenze nel marzo del 2010, a proposito delle dichiarazioni rese da Spatuzza nel processo che indaga sugli attentati della mafia a Roma e a Milano e sui presunti rapporti della criminalità organizzata con Berlusconi e Dell’Utri. Solo che in quei mesi, da quando Spatuzza inizia a collaborare, le procure non chiedono che venga sottoposto al programma di protezione. Lo fanno un anno dopo, quando Spatuzza parla di Berlusconi e Dell’Utri, e il ministero degli interni la nega. Spatuzza, infatti, ha continuato a parlare superando il limite di sei mesi imposto dalla legge. O meglio: ha parlato per sei mesi dal giugno del 2008 e poi, un anno dopo, ha parlato dei rapporti di Berlusconi e Dell’Utri con la mafia, dei quali non aveva mai parlato prima. Quindi niente programma di protezione. Per quanto sull’attendibilità di questi ultimi elementi si discuta ancora, quella dei suoi racconti sull’attentato a Borsellino è oramai accertata.

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Chi mise l’esplosivo sulla 126
Quando la FIAT 126 viene riempita di esplosivo in un’officina di Palermo, Spatuzza c’è. E dice che in quell’officina c’era una persona che non aveva mai visto prima, che aveva identificato in un agente dei servizi segreti, del quale ha un ricordo labilissimo. Gli investigatori gli propongono album e schedari pieni di fotografie d’epoca. Spatuzza a un certo punto riconosce un uomo, un funzionario del SISDE che oggi lavora all’AISI, l’Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna. Questo non succede ieri, come potrebbe sembrare dai titoli dei giornali di oggi: succede a maggio di quest’anno. La circostanza sarà confermata dal presidente della commissione parlamentare antimafia, Beppe Pisanu, nel corso della sua annuale relazione. Pisanu è il primo a fare il nome dell’agente accusato da Spatuzza.

Sulla scena, comunque riappaiono le ombre dei servizi Segreti. Prima fra tutte, quella del Dott. Lorenzo Narracci, già collaboratore del Dott. Contrada, come funzionario del SISDE a Palermo, tuttora in servizio all’AISI, e a quanto pare indagato a Caltanissetta. Gaspare Spatuzza lo ha vagamente riconosciuto in fotografia come persona esterna a Cosa Nostra; mentre Massimo Ciancimino, testimone piuttosto discusso, lo ha indicato come accompagnatore del misterioso signor Franco o Carlo che avrebbe assiduamente seguito suo padre Vito Ciancimino nel corso della cosiddetta “trattativa” tra Stato e “Cosa Nostra”.

Massimo Ciancimino conferma il riconoscimento di Lorenzo Narracci, e sostiene di averlo visto assieme a Gaetano Scotto, uno dei mafiosi condannati all’ergastolo per la morte di Borsellino.

Il confronto all’americana
La notizia di ieri è un’altra: dopo averlo riconosciuto in foto, Spatuzza avrebbe riconosciuto Narracci anche in un confronto all’americana, quelli dietro il vetro oscurato che siamo abituati a vedere nei film. Lo ha fatto con molte più incertezze rispetto al passato – e in passato era stato già molto cauto. Sempre i giornali di oggi scrivono che Spatuzza “non ha saputo affermare con certezza che Narracci fosse l’uomo presente nel garage dove venne preparata la strage”, contraddicendo quindi i loro stessi titoli. Ciancimino invece non ha avuto dubbi nel riconoscere Narracci.

Un biglietto a Capaci
La presenza e il qualche ruolo giocato da Lorenzo Narracci nelle stragi non sono una novità. Il 23 maggio 1992 i poliziotti setacciano la collina dalla quale Brusca e altri mafiosi azionarono la bomba che fece saltare in aria Giovanni Falcone, a Capaci. Trovano, tra le altre cose, un biglietto. C’è scritto «Guasto numero 2-portare assistenza settore numero 2. Gus, via In Selci numero 26, via Pacinotti» e di seguito c’è un numero di cellulare. Il cellulare di Lorenzo Narracci.

Massimo Ciancimino
C’è un altro personaggio in questa storia, quindi, per quanto marginale rispetto a Spatuzza: Massimo Ciancimino, figlio di Vito, ex sindaco di Palermo. È un personaggio piuttosto controverso: indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, condannato per riciclaggio, racconta storie di mafia e politica ininterrottamente da due anni e mezzo. Ha detto molte cose: alcune si sono rivelate veritiere, alcune no. Spesso si è contraddetto. I magistrati della procura di Firenze hanno considerato inattendibili le sue deposizioni; quelli di Palermo invece lo considerano attendibile. “Tra i tanti magistrati che si sono occupati delle sue fluviali dichiarazioni”, scrive oggi Giovanni Bianconi sul Corriere, “c’è chi è propenso a dargli fiducia e chi è più scettico, ma nessuno finora s’è sentito di depennarlo dall’elenco delle fonti di prova nelle sue inchieste”. Se Ciancimino è marginale rispetto al caso dell’attentato a Borsellino, non lo è rispetto al più vasto capitolo sull’esistenza o meno negli anni Novanta di una trattativa tra la mafia e pezzi dello Stato.

La trattativa
Sintetizziamo molto, anche perché si tratta di un discorso più generale. Sia Spatuzza che Ciancimino, seppure con accenti diversi e divergendo su molti aspetti, dicono che dopo la morte di Falcone e Borsellino la mafia aveva intenzione di fare altri attentati per alzare la posta e ottenere dallo Stato una tregua e un atteggiamento più conciliante. I socialisti non furono in grado di chiudere l’accordo, che fu invece portato avanti grazie alla mediazione di Berlusconi e Dell’Utri. In cambio di questo ammorbidimento nei confronti della criminalità organizzata, lo Stato avrebbe ottenuto la fine delle violenze; Berlusconi e Dell’Utri avrebbero ottenuto collaborazione, e Spatuzza sostiene che siano tra i mandanti occulti degli omicidi di Falcone e Borsellino. Spatuzza dice di avere saputo queste cose dai fratelli Graviano. Uno si è avvalso della facoltà di non rispondere e dice di avere grossi problemi di salute. L’altro lo ha smentito più volte.