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  • Venerdì 15 ottobre 2010

I diari della guerra, quelli italiani

Cosa c'è nei documenti di Wikileaks sulle operazioni militari italiane in Afghanistan, raccontate dall'Espresso

La morte dei quattro soldati italiani della scorsa settimana ha puntualmente riaperto il dibattito sul ruolo della nostra presenza in Afghanistan a fianco delle forze della NATO e delle trentotto nazioni che partecipano alla missione ISAF. Oggi L’Espresso è in edicola con un lungo servizio su quello che viene definito «il vero volto della nostra missione di pace in Afghanistan», ricostruito a partire dai documenti segreti diffusi da Wikileaks: l’organizzazione di Julian Assange che a fine luglio aveva già diffuso i cosiddetti “diari della guerra”. L’Espresso sarebbe entrato in possesso di altri 14mila rapporti dell’intelligence americana non ancora noti, che andrebbero a integrare i file già divulgati due mesi fa e che chiarirebbero il ruolo dell’esercito italiano nelle operazioni in Afghanistan.

Eccoli i due volti della guerra in Afghanistan. Quello che ci viene raccontato da anni, con i nostri soldati che lavorano per aiutare la popolazione e proteggerla dagli estremisti islamici. E quello che è sempre stato nascosto, con i reparti italiani che combattono tutti i giorni e uccidono centinaia di guerriglieri. Una sterminata serie di scontri, con raid dal cielo e anche tra le case dei villaggi. Ma anche una missione che deve fare i conti con traditori e doppiogiochisti, con militari afghani addestrati dalla Nato che invece aiutano i talebani, con sospetti sul destino di centinaia di milioni di euro di aiuti pagati anche dall’Italia per la ricostruzione del Paese e scomparsi nei ministeri di Kabul. Una cronaca di reparti con la bandiera tricolore che sparano migliaia di proiettili in centinaia di battaglie, sfidando le trappole esplosive e le imboscate, convivendo con il terrore dei kamikaze che rende ogni auto una minaccia, mentre gli elicotteri Mangusta esplodono raffiche micidiali, incassando spesso i razzi dei talebani.

La ricostruzione di Gianluca Di Feo e Stefania Maurizi si è concentrata sulle informazioni relative al 2009, quando rinforzi e nuove regole d’ingaggio avrebbero provocato l’escalation delle operazioni militari sotto bandiera tricolore. Il resoconto è un impressionante diario in cui sono elencate diverse centinaia di combattimenti, con decine di italiani feriti in modo più o meno grave di cui non si è mai saputo nulla e con alcuni episodi misteriosi di spionaggio e controspionaggio.

Battaglie invisibili
I file di Wikileaks segnalano oltre 200 scontri in cui sono stati coinvolti i soldati italiani: tra maggio e dicembre la Folgore avrebbe cambiato il volto della presenza italiana in Afghanistan e i parà, sostenuti da elicotteri da combattimento Mangusta e dai blindati dei bersaglieri, avrebbero cominciato a condurre operazioni militari a fianco degli americani, oltre che con le truppe afghane.

Uno dei combattimenti più discussi avviene il 31 maggio intorno alla base Columbus di Bala Murghab, sulla frontiera occidentale da cui passa l’esportazione dell’oppio che finanzia i talebani. Poco prima del tramonto, scrive l’Espresso, i file di Wikileaks segnalano che sulle postazioni italiane e su quelle degli alleati afghani cominciano a piovere razzi. I parà rispondono anche con i mortai pesanti, poi arriva una coppia di elicotteri Mangusta, che sparano almeno un missile Tow «neutralizzando gli avversari». Il primo rapporto del comando italiano sostiene che siano stati uccisi 25 guerriglieri: 20 dai mortai e cinque dal missile.

Nove giorni dopo il dossier viene corretto: negli scontri ci sarebbero anche due civili feriti e uno morto. Da quel momento la base Colombus viene attaccata quasi tutti i giorni. Uno degli assalti più pericolosi è quello che viene sferrato all’alba del 9 giugno. I guerriglieri attaccano un plotone di soldati afghani e iniziano a lanciare razzi sulle postazioni italiane. I parà escono dal fortino per soccorrere gli alleati, ma vengono aggrediti alle spalle. A quel punto i mortai pesanti aprono il fuoco, lo scontro va avanti per tre ore. Il bilancio finale riportato nei documenti è di 11 soldati afghani morti, 12 finiti nelle mani dei fondamentalisti, un civile ucciso e uno ferito, tre italiani colpiti in modo non grave.


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Due mesi di scontri
La massima intensità delle operazioni militari italiane viene raggiunta tra giugno e luglio 2009. Il 16 giugno un reparto viene attaccato dai talebani. Risponde usando anche mortai leggeri: sei talebani uccisi. Il 20 nuova sparatoria, tre giorni dopo un blindato finisce su una mina, ma l’equipaggio si salva. Il 25 una pattuglia combatte a sud, verso il confine iraniano. Il 27 a nord, verso Bala Murghab: altri cinque talebani uccisi. Quasi contemporaneamente a sud una colonna italiana interviene per salvare un convoglio di camion americani, arrivano anche due Mangusta: il rapporto parla di sei ribelli rimasti uccisi. Poche ore dopo un’altra squadra della Folgore viene colpita, ma c’è solo un ferito leggero. Il giorno dopo un soldato italiano resta ferito in seguito all’esplosione di una bomba lanciata contro un convoglio logistico. Il 30 luglio, all’alba, i talebani lanciano razzi contro la base italiana a Tobruk che risponde con i mortai da 120 millimetri. Poco più tardi, un’altra colonna italiana interviene per aiutare alcuni poliziotti afghani in difficoltà.

I Mangusta
I Mangusta sono elicotteri da combattimento che vengono citati più volte nei documenti di Wikileaks analizzati dall’Espresso. Sono elicotteri che hanno missili teleguidati e cannoni a tiro rapido e che potendo volare a bassa quota possono mirare con precisione, evitando i danni collaterali. Il 16 agosto una squadra statunitense viene imbottigliata nel villaggio di Siah Vashan: subito viene richiesto l’intervento dei velivoli italiani, che le permettono di fuggire con 400 colpi «in un campo aperto».

Il 9 luglio una mina esplode al passaggio di un convoglio italo-spagnolo provocando quattro feriti non gravi. Dopo una ventina di minuti arrivano due eliambulanze spagnole e i talebani fanno partire l’imboscata con cecchini che sparano da tutti i lati. L’attacco è risolto dall’arrivo di due Mangusta, che sparano cannonate sulla zona in cui si nascondono gli insorti. Episodi simili, con interventi a soccorso di delle forze alleate, si ripetono il 18, 19 agosto e il 3 settembre. In quest’ultimo caso le raffiche sparate dai Mangusta uccidono diciannove talebani, otto quelli rimasti feriti.

I civili
Dai documenti emerge che la popolazione civile collabora con gli italiani, avvertendoli in molti casi delle possibili imboscate dei talebani. Il 23 settembre del 2009 una squadra sta percorrendo la strada alle porte del villaggio di Parkaman quando un civile li ferma per avvertirli che i talebani li stanno aspettando nascosti negli edifici. Ormai però è troppo tardi e i guerriglieri iniziano a sparare con razzi, mitragliatrici e mortai. Un parà resta ferito gravemente, gli scontri continuano. Arrivano due caccia, ma si limitano a sganciare scie luminose perché ci sono troppe case per poter bombardare. I fondamentalisti scappano, lasciando quattro morti e otto feriti.

Il 27 dicembre si combatte in un villaggio non lontano dal fortino di Bala Baluk. I talebani sparano da tre case contro una pattuglia americana. Arrivano anche i Cobra, la compagnia delle forze speciali italiane. I talebani continuano a sparare e gli americani sganciano quattro bombe sbriciolando quattro case. Il rapporto stima che venticinque guerriglieri potrebbero essere morti, ma il giorno dopo due bambini feriti si presentano al cancello della base dicendo che la madre è morta: la loro famiglia era stata tenuta in ostaggio dai talebani durante lo scontro a fuoco. Nel rapporto si legge: «Si ritiene che la bomba sganciata contro la casa confinante l’abbia uccisa».

I traditori
Nei documenti si legge che «la maggior parte della polizia afghana non può essere giudicata affidabile, perché molti dei poliziotti lasciano i loro posti e spesso si arruolano nelle fila dei talebani. Molti lo fanno perché non vengono pagati. Non è chiaro dove vanno a finire i soldi destinati agli stipendi» e ci si lamenta addirittura di un vicegovernatore di una delle aree del distretto italiano che si vanta di «avere un fratello nei talebani». L’episodio più grave è del 29 dicembre, base Columbus, quando un soldato afghano spara sui suoi alleati occidentali, uccidendo un americano e ferendo due italiani.
I documenti però parlano anche di moltissimi casi in cui poliziotti e civili afghani hanno perso la vita per il loro sostegno agli occidentali: agenti decapitati, rappresaglie sulle loro famiglie e il 3 giugno 2009 un camion con i corpi di dodici civili rapiti e assassinati perché lavoravano per gli americani viene scoperto dai parà italiani.

I servizi segreti
Dai file di Wikileaks risulterebbero anche alcune operazioni poco chiare condotte dai servizi segreti
italiani. Un ufficiale alla guida di una colonna italiana spara contro un agente dei servizi segreti di Kabul. Dopo la sparatoria, tutti gli italiani vengono arrestati e rilasciati solo dopo alcuni giorni. A dicembre un prigioniero custodito dagli americani, apparentemente un terrorista straniero, viene consegnato al governo italiano. Lo scambio avviene il 20 dicembre 2009 all’aeroporto di Bagram e l’uomo prende il volo con un Hercules dell’Aeronautica. Dai documenti non si riesce a capire perché il terrorista potesse interessare alle autorità italiane, ci sono solo codici cifrati e nessun nome.

Acquerelli di guerra