Contro Scajola il Giornale arrivò per ultimo

La tesi che il Giornale non attacca solo i nemici di Berlusconi è una balla

Oggi, seguendo un copione consueto e che ha già dato notevoli frutti, il Giornale attacca in prima pagina Concita De Gregorio. Non perché qualche notizia la riguardi: negli ultimi due giorni l’unica cosa che è avvenuta alla direttrice dell’Unità è stata di partecipare a una trasmissione televisiva sulla 7, sabato sera, e di criticare quello che nella stessa occasione diceva un altro ospite, il direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Era tardi per uscire in edicola con una ritorsione che non c’entra niente con gli argomenti di dibattito politico e giornalistico (“Cara Concita, ecco chi ti paga lo stipendio“: riutilizzo pro domo Giornale dell’argomento che il Giornale contestò quando lo usò D’Alema contro Sallusti a Ballarò), e così lo sgarro viene fatto pagare il lunedì.

Il copione è consueto e ha due varianti: la prima pagina contro chi ha criticato il Giornale e la prima pagina contro chi ha attaccato Silvio Berlusconi. La prima variante ormai riguarda quasi ogni passante e si esaurisce con intimidazioni puntuali di un giorno o due, la seconda ha una ormai nota successione di celebri casi, e viene portata avanti con maggior insistenza: Boffo, Fini, e Marcegaglia, quest’ultimo pronto ma abortito per intervento di Confalonieri dopo il percorso che sappiamo.

Il caso Boffo sappiamo che fu una bufala di cui ha chiesto scusa – a suo modo – lo stesso direttore del Giornale Vittorio Feltri. L’inchiesta su Fini ha avuto indubbiamente della sostanza e ha svelato una storia che ha costretto il Presidente della Camera a pubbliche spiegazioni e ad ammissioni di ingenuità: anche se si ritengano esagerate le pretese di dimissioni, la storia c’era. Per Marcegaglia, non lo sappiamo. Ma l’elemento comune è che nessuna di queste campagne è nata da un desiderio di ricerca della verità ma da una ricerca di elementi per bastonare i critici “importanti” del Presidente del Consiglio. Questa è l’obiezione a cui il Giornale non può rispondere con scuse, o argomenti di merito, o “scherzavamo”. Le sue inchieste le fa contro i nemici del governo.

Venerdì sera, di fronte a questa contestazione in un’altra trasmissione televisiva della 7 – “il Giornale fa campagne solo contro i nemici del Presidente del Consiglio?” – il direttore del Giornale Vittorio Feltri ha però risposto così, ripetendo una difesa non nuova:

«Non le dice niente il caso Scajola? Chi lo ha invitato a dimettersi? Io! Dopo averlo intervistato. E Scajola è un amico di Fini o è un signore della maggioranza? Le abbiamo chieste noi le dimissioni, dopo averlo intervistato!»

Nel seguito della risposta Feltri ha sostenuto che Scajola si sia poi dimesso per la “medesima” questione che riguarda Fini e ha chiesto “quali prove hanno trovato per Scajola?”, ma rimaniamo sul punto: ovvero che esista un’eccezione storica all’accusa fatta al Giornale di costruire battaglie solo contro i critici di Berlusconi e questa eccezione sia rappresentata dal caso Scajola: «Le abbiamo chieste noi le dimissioni, dopo averlo intervistato!».
È andata davvero come dice Feltri?

No. È andata così.

Il 23 aprile su tutti quotidiani esce notizia che il nome di Scajola è saltato fuori nelle indagini sulla “cricca” cosiddetta. Questo ne scrive Carlo Bonini su Repubblica:

E ora (l’inchiesta) incrocia la strada del ministro dello Sviluppo Economico Claudio Scajola perché singolare beneficiario, quando era un semplice parlamentare dell’ opposizione, di una provvista di circa mezzo milione di euro messa a disposizione da una delle “tasche” del costruttore Diego Anemone (oggi detenuto con Angelo Balducci, Mauro Della Giovampaola, Fabio De Santis) per l’acquisto di un appartamento intestato alla figlia.

Questa è Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera:

I nuovi controlli disposti dai magistrati di Perugia – che hanno ereditato il fascicolo per competenza – fanno emergere la nuova traccia. Il resto della somma è servito per acquistare una casa della figlia di Scajola. E adesso si lavora per scoprire che legame ci sia tra l’ imprenditore e il ministro delle Attività produttive, ma soprattutto per quale motivo il primo si sia servito dell’ architetto per «mascherare» l’operazione immobiliare.

Il Giornale invece, titola così un articolo firmato da Gian Marco Chiocci e Massimo Malpica (corsivi nostri):

Appalti G8, i pm provano a coinvolgere Scajola
Il titolare dello Sviluppo non è indagato e il suo nome spunta nell’inchiesta sulle tangenti solo per il ruolo istituzionale che ricopre. Ma ai magistrati non basta e cercano suoi legami con gli arrestati

L’articolo del Giornale non cita nessuno degli elementi raccontati dagli altri quotidiani: non si parla dell’acquisto dell’appartamento, né  dell’intestazione alla figlia di Scajola. Solo una generica indicazione del nome di Scajola che appare nell’inchiesta e una colonna intera per spiegare che finora nient’altro lo aveva legato all’indagine e che è “solo la funzione che ricopre” ad aver dato rilievo alla cosa finora.



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Nei giorni successivi la storia monta ed emergono tutti i dettagli che poi impareremo: gli assegni circolari per 900 mila euro di Diego Anemone versati per pagare una parte l’appartamento del ministro, la sua pretesa di averlo pagato solo 600 mila euro di tasca propria. Tanto che le dimensioni dello scandalo arrivano a far parlare di dimissioni. Il 30 aprile Massimo Giannini scrive su Repubblica:

Ma se invece non è in grado di fornire al Paese queste spiegazioni, Scajola ha invece un altro dovere: dimettersi. Si chiama etica della responsabilità, ed è l’essenza della ragion politica.

Nei due giorni precedenti il Corriere della Sera ha pubblicato due lunghi resoconti intitolati rispettivamente “Soldi in nero con 80 assegni per l’immobile di Scajola” e “Così fu comprata la casa per Scajola“. Così, il 30 aprile Fiorenza Sarzanini scrive:

In realtà una spiegazione sembrerebbe a questo punto opportuna, viste le nubi che rischiano di addensarsi sul passato incarico di ministro dell’Interno e sull’attuale carica di responsabile del governo per lo Sviluppo Economico. Soprattutto tenendo conto che nel corso degli anni Anemone ha gestito per conto del Viminale, e non solo, svariati lavori. Pur con le dovute cautele di fronte a un’indagine ancora in corso, gli elementi che stanno emergendo richiederebbero un chiarimento su quanto è davvero accaduto. Anche perché il solo sospetto di aver ricevuto soldi da un imprenditore che ha ottenuto appalti milionari, spesso a trattativa privata, è un’ombra che un uomo pubblico dovrebbe rimuovere al più presto.

E ancora il 30 aprile il Corriere racconta anche che Scajola stesso sarebbe stato tentato di dimettersi ma Silvio Berlusconi lo avrebbe convinto a non farlo. Di dimissioni insomma si parla già abbondantemente: e lo stesso 30 aprile il Giornale che fa? Pubblica un articolo intitolato:

Scajola finisce sotto tiro: «Attacchi infondati»

Nel testo si sostiene che il Giornale abbia “anticipato” la notizia il 23 (quando è stata data da tutti quanti), e dopo poche righe di riassunto delle accuse, si dedicano tre colonne alla difesa di Scajola e alle solidarietà di tutti i suoi compagni di partito. Di richieste di dimissioni non c’è alcuna lontanissima traccia. C’è sì un editoriale di Vittorio Feltri sulla questione: ma è per rispondere a una trasmissione radiofonica che ha accusato il Giornale di avere trascurato la notizia. Feltri contrattacca e sostiene che il Giornale l’abbia data per primo il 23, assieme alla sola Repubblica (è falso, come abbiamo visto). La realtà è che il 23 la notizia è stata data nei modi diversi che abbiamo citato da Repubblica, Corriere e Giornale e che i primi due l’hanno poi seguita nei giorni successivi mentre il Giornale non ha più ritenuto di tornarci fino al 30, quando da due giorni avevano cominciato a occuparsene tutti gli altri quotidiani. Niente di male, ma non corrisponde esattamente a «Le abbiamo chieste noi le dimissioni».

Vediamo quando le ha chieste il Giornale, queste dimissioni, e come. Il 1 maggio no. Il 1 maggio, infatti, il Giornale si occupa del caso, ma ritenendolo di farlo raccontare al ministro Scajola. Con un’intervista di Nicola Porro. Le domande di Porro – che a questo punto ha un ricchissimo repertorio di elementi di indagine che contraddicono il ministro – sono brevi e sbrigative e comprendono anche: “E allora tutta questa vicenda è una grande balla?”. Accanto all’intervista che occupa quasi tutta la prima pagina c’è un editoriale di Vittorio Feltri. Dice “non ci si capisce un’acca” e tiene soprattutto a rivendicare ancora che il Giornale si è occupato di Scajola il 23 aprile. Ma sulle responsabilità e le eventuali dimissioni la linea è questa:

“Stupisce come, data la confusione, alcuni quotidiani notoriamente antigovernativi diano per scontate le responsabilità del ministo quando questi non ha ancora affrontato gli interrogatori”

L’intervista è così spettacolarmente implausibile che due giorni dopo lo stesso Porro scrive sul suo blog quello che si è dimenticato di dire nell’intervista sul giornale, con argomentazioni piuttosto acrobatiche:

Dico subito che non credo al ministro che ho intervistato. Non dico che debba andare in galera. Non dico che debba essere indagato. Dico una cosa banale: 610mila euro per 180 metri quadri nel centro di Roma, non sono il prezzo di mercato. Ho forse delle prove? Nessuna. Per quanto mi riguarda ci possono essere mille motivi per i quali le venditrici hanno incassato da Scajola solo 610mila euro. Alcuni leciti, altri opachi, altri illeciti. Ognuno si può esercitare con tutte le supposizioni possibili. Ma il punto, cari commensali, non è questo. Il punto è che il ministro continua a dire che il prezzo giusto di quell’appartamento, è quello ridicolmente fissato a 3400 euro a metro quadro. E’ un insulto alla nostra intelligenza.
ps1: Ovviamente qualcuno di voi, oltre della zuppa si nutre di carta stampata. E si può chiedere come mai ciò non lo abbia scritto nel pezzo della settimana scorsa. Il motivo è molto semplice: un’intervista è un intervista, non un articolo di opinione. E in questo caso l’opinione l’ha autorevolmente espressa il direttore.
ps2: Se il ministro avesse detto, l’ho pagata 610mila euro, e il resto li ho dati in nero, sarebbe stato ammettere un’evasione fiscale che in molti fanno. Non un bel gesto da parte di un ministro della repubblica. Ma prenderci per i fondelli è peggio.

Lo stesso 3 maggio il Giornale pubblica una breve in cui si riporta che per un sondaggio di Sky Tg 24 l’85% dei telespettatori ritiene che Scajola dovrebbe dimettersi. E così, dopo che le dimissioni sono state chieste da parti politiche ed editorialisti in gran numero, la mattina del 4 maggio il Giornale pubblica un severo editoriale di Vittorio Feltri – la cui novità fa persino notizia sul Corriere della Sera – che chiede a Scajola di dare spiegazioni più convincenti oppure dimettersi. Appena poche ore prima che Scajola si dimetta.