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  • Martedì 5 ottobre 2010

La quasi rimonta dei democratici

A meno di un mese dalle elezioni di metà mandato, la distanza dai repubblicani si riduce

di Francesco Costa

President Barack Obama takes the stage at a rally at the University of Wisconsin in Madison, Wis., Tuesday, Sept. 28, 2010. (AP Photo/Charles Dharapak)
President Barack Obama takes the stage at a rally at the University of Wisconsin in Madison, Wis., Tuesday, Sept. 28, 2010. (AP Photo/Charles Dharapak)

Da un paio d’anni a questa parte, i democratici statunitensi hanno un problema col mese di agosto. Nel 2009, fu durante il mese di agosto che i repubblicani guadagnarono consensi e popolarità con la loro violenta battaglia contro la riforma sanitaria, mettendo in crisi il progetto e compromettendo la volontà dell’amministrazione di approvarla entro la fine dell’anno (la riforma sarà poi approvata a marzo). Nel 2010, il mese di agosto è stato quello in cui i repubblicani, trascinati dai tea party, hanno guadagnato punti su punti nei sondaggi preparandosi il terreno per una grande vittoria alle imminenti elezioni di metà mandato.

Noi avevamo riepilogato la posta in gioco all’inizio di settembre, e ci eravamo tenuti cauti: il fatto che alle elezioni di metà mandato il partito di opposizione guadagni posizioni al congresso è matematico, e pochissime volte nella storia americana questa tendenza non è stata rispettata. Ovviamente però c’è modo e modo di vincere e perdere, e quello che conta è il controllo del congresso: i democratici oggi hanno una maggioranza sia alla Camera che al Senato, i repubblicani sperano di ribaltare la situazione. Un mese fa il risultato sembrava scontato: i democratici avevano tenuto, fino a un certo punto, ma gli effetti di un terribile mese di agosto avevano allargato soprattutto quello che i sondaggisti chiamano enthusiasm gap, la differenza di motivazione tra elettori repubblicani e democratici. Insomma, sembravano spacciati: destinati a perdere in un solo colpo la maggioranza alla Camera – e quindi lo speaker – e quella al Senato.

La fortuna dei democratici, però, è che dopo agosto viene settembre. Nel 2009, il mese di settembre fu quello del discorso di Obama al congresso sulla riforma sanitaria e della riorganizzazione delle strategie legislative. All’inizio di ottobre, esattamente un anno fa, la commissione finanze del Senato approvava il testo della riforma: un piccolo e iniziale passo, sufficiente però a far capire ai repubblicani e al paese che il progetto di riforma era ancora vivo e vegeto. Il settembre del 2010 ha visto accadere un altro piccolo miracolo. Vuoi perché il presidente Obama si è dedicato più intensamente alla campagna elettorale, vuoi per la debordante presenza mediatica degli estremisti ultraconservatori dei tea party, i sondaggi hanno ricominciato a muoversi un po’ dappertutto a favore dei democratici.

John Dickerson su Slate mette insieme un po’ di numeri. I repubblicani negli ultimi due mesi avevano un vantaggio enorme nella media dei sondaggi: ora i due partiti sono praticamente pari. Il sondaggio Gallup mostra la stessa rimonta, così come quello di Wall Street Journal e NBC. Persino Rasmussen, istituto statistico storicamente vicino ai repubblicani, ha registrato una rimonta di nove punti da parte dei democratici. Al di là dei generici sondaggi nazionali, la tendenza si registra anche nelle singole competizioni. In Ohio gli elettori che sono stati raggiunti da un volontario repubblicano sono la metà di quelli raggiunti dalla campagna dei democratici. Il governatore uscente Ted Strickland, democratico, aveva uno svantaggio a doppia cifra nei confronti del suo avversario: oggi sono pari. A settembre i democratici hanno raccolto 16 milioni di dollari in finanziamenti elettorali: la cifra più alta mai raccolta in un mese dal 2002.

Insomma, è presto per dire se si tratta di un movimento decisivo, ma è certo che qualcosa si muove e che i democratici non sono spacciati. Marc Ambinder sull’Atlantic fornisce qualche spiegazione su questa quasi rimonta. Alcune di queste hanno a che fare con fattori imprevedibili, ed è difficile distinguere la causa dall’effetto. L’esempio classico è quello della competitività dei democratici. Più la sconfitta sembra inesorabile, meno gli elettori democratici saranno motivati ad andare a votare. Se c’è la rimonta, però, se i giochi sembrano ancora aperti, gli elettori si danno da fare e il loro attivismo è registrato dai sondaggi. È un circolo virtuoso.

Il punto successivo è cercare di capire dov’è cominciato questo circolo. Qui ci vengono in aiuto altri due fattori. Il primo ha a che fare col modo in cui i repubblicani hanno definito la loro immagine in questa campagna: un modo che sta effettivamente aiutando i democratici a motivare i loro elettori e far capire loro la posta in gioco. I personaggi più visibili tra i repubblicani – Sarah Palin, Glenn Beck, Ryan Paul, Christine O’Donnell, Newt Gingrich – sono tra più rumorosi e populisti estremisti della destra americana: e in questo momento polarizzare il dibattito politico aiuta i democratici a mobilitare i propri elettori e limitare le perdite tra gli indipendenti. Il secondo fattore ha a che fare con i mezzi di comunicazione. Le elezioni si avvicinano, le televisioni e i giornali vi dedicano sempre più spazio. I repubblicani sono concentrati su queste elezioni da più di un anno: ora lo sono tutti. Le conseguenze si vedono: l’enthusiasm gap tra i due partiti si riduce.

Torniamo quindi al punto da cui eravamo partiti: i democratici tengono. Tengono anche dove sono in svantaggio, raccolgono fondi in abbondanza. Nel 1994 la riscossa dei repubblicani arrivò praticamente inaspettata, stavolta è una minaccia sulle loro teste da oltre un anno. Alle elezioni di metà mandato manca poco meno di un mese, sondaggi e modelli statistici si muoveranno ancora. I repubblicani guadagneranno sicuramente seggi, sia al Senato che alla Camera. Dopo il mese di settembre, la notizia è che potrebbero non essere abbastanza.