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  • Martedì 21 settembre 2010

Le lapidazioni americane

L'Iran ha attaccato gli Stati Uniti per la condanna a morte di Teresa Lewis, colpevole di aver orchestrato un piano per uccidere il marito

Se non fosse il modo di dire più sbagliato per questo contesto, si dovrebbe concludere che per lanciare la prima pietra bisogna essere senza peccato. E l’indulgenza degli Stati Uniti nei confronti della pena di morte ha dato al regime iraniano l’appiglio per rispedire al mittente le proteste americane contro la condanna alla lapidazione di Sakineh Ashtiani. Diversi membri della “commissione per i diritti umani” del parlamento iraniano hanno criticato duramente – e strumentalmente – l’esecuzione fissata per giovedì negli Stati Uniti di Teresa Lewis, colpevole di aver orchestrato un piano per uccidere il proprio marito.

L’accusa, riportata dal Guardian, arriva durante settimane in cui il governo iraniano è stato criticato duramente da organizzazioni per i diritti umani e media di tutto il mondo per il caso di Sakineh Ashtiani, la donna torturata e condannata alla lapidazione per adulterio. La magistratura iraniana ha poi negato che fosse questo il motivo della condanna, spiegando che Ashtiani avrebbe invece partecipato a un piano per uccidere il proprio marito. Il 12 agosto scorso la donna è apparsa in televisione per confessare le proprie colpe, ma il suo avvocato ha dichiarato che per spingerla a mentire i suoi carcerieri l’avrebbero torturata per due giorni. Il caso è arrivato a ricevere l’attenzione internazionale grazie alla denuncia dei figli di Ashtiani.

L’agenzia di stampa di stato Fars ha dato molto risalto alla vicenda di Teresa Lewis, la donna che lo stato della Virginia ha condannato all’iniezione letale. I parlamentari della commissione iraniana puntano il dito contro i «due pesi e due misure» degli Stati Uniti, che se da una parte criticano le sentenze iraniane dall’altro, secondo i parlamentari, si comporterebbero nello stesso modo, se non peggio.

«Non è passato molto tempo dagli attacchi all’Iran dei media americani sul caso di Sakineh Mohammadi Ashtiani. Il caso di Lewis ha molte similitudini con quello di Mohammadi Ashtiani, con la differenza che la colpevolezza di Sakineh è stata dimostrata mentre sul caso Lewis rimangono molte ambiguità. Gli Stati Uniti e i media americani hanno fatto del loro meglio per far diventare Sakineh Mohammadi Ashtiani un simbolo dei diritti umani a causa delle atrocità che hanno commesso nei confronti dell’Iran, ma per sette anni le organizzazioni dei diritti umani non hanno mai preso le parti di Teresa. Questo mostra come gli Stati Uniti usino due pesi e due misure nei confronti degli altri paesi».

Negli Stati Uniti, e non solo, si sono moltiplicate le campagne a favore della grazia per Lewis, che contestano la decisione di condannare a morte la donna salvando i due uomini che hanno effettivamente sparato al marito, scrive il Washington Post. Amnesty International ha inoltre riportato il test di uno psicologo, precedente alla condanna, che avrebbe calcolato il quoziente intellettivo della donna a 72, vicino alla soglia del ritardo mentale fissata a 70. Il governatore dello stato della Virginia ha negato i risultati del test, dichiarando che nessun rilevamento medico professionale ha riscontrato un deficit psichico del genere.

In una recente intervista rilasciata al Washington Post, Lewis ha ammesso di essere cosciente del proprio errore.

«Non ho premuto il grilletto ma ho sbagliato, ho permesso a due persone di portare via qualcuno che amavo e ho ferito altre persone a cui voglio bene. Adesso lo so bene. Ho paura di morire… Voglio vivere. Non voglio morire»

L’attacco iraniano è evidentemente pretestuoso e l’esistenza in quel paese di una “commissione per i diritti umani” quasi ridicola: ma non è facile fare battaglie credibili contro le condanne a morte in Iran quando poi – con tutte le differenze del caso – si condanna a morte negli Stati Uniti.