Perché Angelo Vassallo è stato ucciso?

Roberto Saviano sull'omicidio del sindaco di Pollica e il futuro dell'Italia

Roberto Saviano, su Repubblica di oggi, fa una lunga analisi della morte di Angelo Vassallo, il sindaco di Pollica ucciso in un agguato domenica sera. Il suo cadavere è stato ritrovato nella sua auto, colpito da sette proiettili. Eletto con una lista civica lo scorso marzo, era al suo secondo mandato. Da anni si batteva per la legalità nel Cilento.

DUE pistole che sparano, le pallottole che colpiscono al petto, un agguato che sembra essere anche un messaggio. Così uccidono i clan. Così hanno ucciso Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, in provincia di Salerno. Si muore quando si è soli, e lui – alla guida di una lista civica – si opponeva alle licenze edilizie, al cemento che in Cilento dilaga a scapito di una magnifica bellezza. Ma Angelo Vassallo rischia di morire per un giorno soltanto e di essere subito dimenticato.

Come se fosse normale, fisiologico per un sindaco del meridione essere vittima dei clan. E invece è uno scandalo della democrazia. Del resto – si dice – è così che va nel sud, accade da decenni. “Veniamo messi sulla cartina geografica solo quando sparano. O quando si deve scegliere dove andare in vacanza”, mi dice un vecchio amico cilentano. In questo caso le cose coincidono. Terra di vacanze, terra di costruzioni, terra di business edilizio che “il sindaco-pescatore” voleva evitare a tutti i costi.

Questa estate è iniziata all’insegna degli slogan del governo sui risultati ottenuti nella lotta contro le mafie. Risultati sbandierati, urlati, commettendo il grave errore di contrapporre l’antimafia delle parole a quella dei fatti. Ma ci si deve rendere conto che non è possibile delegare tutto alle sole manette o al buio delle celle. Senza racconto dei fatti non c’è possibilità di mutare i fatti.

E anche questa storia meritava di essere raccontata assai prima del sangue. Forse il finale sarebbe stato diverso. Ma lo spazio e la luce dati alla terra dei clan sono sempre troppo pochi. I magistrati fanno quello che possono. I clan dell’agro-nocerino in questo momenti sono tutti sotto osservazione: quelli di Scafati capeggiati da Franchino Matrone detto “la belva”, o gli uomini di Salvatore Di Paolo detto “il deserto”, quelli di Pagani capeggiati da Gioacchino Petrosino detto “spara spara”, il clan di Aniello Serino detto “il pope”, il clan Viviano di Giffoni, i Mariniello di Nocera inferiore e Prudente di Nocera superiore, i Maiale di Eboli.

Il fatto è che il Cilento, terra magnifica, ha su di sé gli occhi e le mani delle organizzazioni criminali che, quasi fossero la nemesi della nostra classe politica, eternamente in lotta, si scambiano favori, si spartiscono competenze pur di trarre il massimo profitto da una terra che ha tutte le caratteristiche per poter essere definita terra di nessuno e quindi terra loro. I Casalesi sono da sempre interessati all’area portuale, così come i Fabbrocino dell’area vesuviana hanno molti interessi in zona. Giovanni Fabbrocino, nipote del boss Mario Fabbrocino, gestisce a Montecorvino Rovella, un paesino alle soglie del Cilento, la concessionaria della Algida nella provincia più estesa d’Italia, il Salernitano appunto. Il clan Fabbrocino è uno dei più potenti gruppi camorristici attualmente noti e intrattiene legami con i calabresi.

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