È lui o non è lui?

Matteo Renzi continua a ritirare la mano, ma il sasso di una sua candidatura a guidare il PD è già in volo

L’intervista di Matteo Renzi a Repubblica di stamattina non stupisce nella spietata perentorietà del suo attacco alle attuali classi dirigenti del Partito Democratico a cui appartiene: il sindaco di Firenze ha abituato a linguaggi e opinioni drastiche e indifferenti al conformismo e alle diplomazie. Però il comune sentire in una estesa parte del PD che sia lui l’unico “nuovo” con i numeri per guidare il partito e trovare consenso convincente ne viene rafforzato, per quanto lo stesso Renzi si premuri ancora – in modo sempre meno convincente – di insistere che la questione della leadership non riguardi lui.

Cos’è, un’autocandidatura alla leadership del Pd?
«Il mestiere di sindaco di Firenze mi diverte moltissimo, e qui voglio stare. Fossi stato a sentire D’Alema, Veltroni e Bersani mai sarei entrato a Palazzo Vecchio, macinato dalle primarie. Certo, appena apro bocca è sempre la stessa musica: il solito Renzi, l’ambizioso. E che ci vuoi fare, unifico il partito, c’ho tutti contro. Ma sai che c’è? Meglio un’accusa di arroganza che un processo per diserzione. La questione della leadership non riguarda me ma il tema esiste. Eccome».
Chi riguarda allora?
«Di nomi ne vedo parecchi. Fra la gente che viene dal territorio. Da scegliere con le primarie, ovunque».
Chiamparino, Zingaretti, Vendola?
«Sicuramente sì. Tre nomi che, con caratteristiche diverse, sono in grado di dire e dare qualcosa di nuovo al Pd. Lontani dal balletto di agosto al quale stiamo assistendo con scambio di lettere o cartoline fra i nostri dirigenti da un quotidiano all’altro. Litigando».
Anche lei però aveva litigato con Zingaretti, accusandolo per la mancata candidatura alle regionali nel Lazio.
«Abbiamo litigato, ci siamo chiariti davanti ad una bistecca alla fiorentina. Ma poi, chissenefrega della polemica, di qualche parola di troppo se poi in realtà sei sulla stessa lunghezza d’onda. Io penso che oggi Nicola sia fra quelli che nel Pd rappresentano le novità».

Di sicuro la strategia di Renzi è opposta alla tanto criticata scelta di Nichi Vendola di proporsi prima ancora che i giochi si aprissero. Renzi sta evidentemente aspettando sviluppi, sapendo che il suo credito di novità, parlar chiaro e risultati elettorali non scadrà presto. Ma sui temi politici nazionali mostra di avere opinioni nette e dissidenti rispetto ai dirigenti del PD, e nessun timore di esserne messo in scacco: gli avvenne già una volta di mettersi in battaglia contro di loro – candidandosi a sindaco – e vinse.

«Nuovo Ulivo? Uno sbadiglio ci seppellirà. Mandiamoli tutti a casa questi leader tristi del Pd».
Ambizioso programma, sindaco Matteo Renzi.
«Non è mica solo una questione di ricambio generazionale. Se vogliamo sbarazzarci di nonno Silvio, io così lo chiamo e non caimano, dobbiamo liberarci di un’intera generazione di dirigenti del mio partito. Non faccio distinzioni tra D’Alema, Veltroni, Bersani… Basta. È il momento della rottamazione. Senza incentivi».
Rottamare i “vecchi” del Pd vuol dire automaticamente sbarazzarsi di Berlusconi?
«È la precondizione, il punto di partenza. Ma li vedete? Berlusconi ha fallito e noi stiamo a giocare ancora con le formule, le alchimie delle alleanze: un cerchio, due cerchi, nuovo Ulivo, vecchio Ulivo… I nostri iscritti, i simpatizzanti, i tanti delusi che aspetterebbero solo una parola chiara per tornare a impegnarsi, assistono sgomenti ad un imbarazzante Truman show. Pensando: ma quando si sveglieranno dall’anestesia? Ma si rendono conto di aver perso contatto con la realtà?».
Che cosa propone di fare?
«Lo statuto del Pd parla chiaro, anche se ovviamente è rimasto inapplicato: dopo tre mandati parlamentari, giù dalla giostra. Se davvero si va alle elezioni anticipate, anche se personalmente ci credo poco, alla prima assemblea nazionale per le candidature vado alla tribuna e lancio il seguente ordine del giorno: facciamo riscoprire il piacere della semplice militanza ai nostri parlamentari che hanno varcato la soglia delle tre legislature. E, potendo, anche a Di Pietro, un altro che da 20 anni pontifica su tutto, e abbiamo visto i risultati».
Resta però aperto il problema: che rapporti con Fini, con Casini, con la sinistra?
«Fini? Uno che passa da Almirante e Le Pen alla Tulliani e Barbareschi, di certo non fa per me. Però, non voglio nemmeno entrarci nel gioco del piccolo chimico. Piuttosto mi fate capire, per favore, che dice il Pd sul lavoro che cambia? Sull’innovazione? Sull’ambiente? E sulle tasse? Facevo ancora la maturità e già Berlusconi e Tremonti promettevano la riduzione a due sole aliquote. Quando siamo andati al governo noi, l’unico slogan era l’agghiacciante pagare le tasse è bellissimo. Ci sarà pure una via di mezzo…».

In realtà non è detto che ci sia, una via di mezzo, nell’Italia che ha già dimostrato in molte occasioni che le soluzioni possono anche non arrivare mai e il fondo è sempre un po’ più in là. E non è detto nemmeno che quella via di mezzo possa rappresentarla il sindaco di Firenze, i cui atteggiamenti trovano consensi ma anche molti fastidi e risentimenti nel partito e tra una parte dei militanti: stiamo pur sempre parlando di un ex rutelliano, e come si sa l’unico non comunista che ha avuto un ruolo di guida nel PD – Dario Franceschini – non è andato lontanissimo. Ma adesso i casi sono due: o qualcuno si fa avanti in rappresentanza di ciò che Renzi dice e molti pensano, o dovrà farlo lui e prendersi i rischi del caso. Oppure, niente.

Sembra di sentire Nanni Moretti.
«Io però faccio politica col Pd e sono impegnato nel mio ruolo di amministratore. E soprattutto quel grido di piazza Navona, «andate a casa», allora era di un solo intellettuale. Oggi temo sia condiviso della stragrande maggioranza del popolo democratico».