Ma di cosa è morto Mozart?

Le teorie sulle ragioni del decesso cominciarono a diffondersi già dagli ultimi giorni del 1791

Certo, non si può dire che ci siamo quasi: anzi. Ma almeno abbiamo un elenco entro al quale indagare. Un elenco abbastanza lungo, però: le possibili cause della morte di Wolfgang Amadeus Mozart sono state ridotte a 118, racconta il New York Times. Il dottor William Dawson, chirurgo in pensione e curatore bibliografico della Performing Arts Medical Association, le ha catalogate e studiate. Le speculazioni sulle ragioni del decesso cominciarono già nei giorni successivi alla morte del compositore, avvenuta il 5 dicembre del 1791, e da quel momento ci si sono cimentati tutti: medici, musicisti, storici.

Innanzitutto ci sono due grandi filoni di teorie: quello minoritario, ma più romantico, sostiene che Mozart fosse cosciente della propria malattia e che le sue ultime opere siano state condizionate dalla malinconia del sapersi vicino alla morte. Altri, di più, fanno notare che nessuno dei familiari del compositore sembrava riportare, o conoscere, un possibile disturbo fino alle ultime settimane di vita: e sembra improbabile l’eventualità di un Mozart che nasconda deliberatamente la propria malattia per mesi.

Il corso degli ultimi giorni del compositore è conosciuto: Mozart fu costretto a letto dal 20 novembre del 1791, dopo un intenso periodo produttivo in cui diede corpo a opere divenute celebri fra cui Il Flauto Magico, La Clemenza di Tito e parti del Requiem. Dopo quel giorno cominciò a sudare, ad avere la febbre e vomitare. Due settimane dopo Mozart morì, a 36 anni non ancora compiuti, a Vienna. Il certificato di morte riporta la dicitura “febbre miliare acuta”, sintomo generico che potrebbe essere ricondotto a un’enormità di cause. Anche le attestazioni mediche dirette sono confuse e interpretabili in molte direzioni, perciò bisogna fare riferimento alle testimonianze che le due donne di casa Mozart, la moglie Costanze e la sorella Sophie, dettero diversi anni dopo.

Sono stati ritrovati anche dei documenti del figlio Karl e di un medico viennese che avrebbe parlato con il dottore che aveva curato Mozart negli ultimi giorni, ma anche per l’interpretazione di questi testi c’è bisogno di un lavoro quasi empatico nel tradurre il linguaggio della medicina del tempo: più volte l’operazione sfocia in domande come «cosa avrà voluto dire?» o «cosa intendeva quando ha scritto questo?», con la necessità di riempire l’inevitabile scarto fra le conoscenze – e quindi gli strumenti d’interpretazione – di 200 anni fa, e quelle attuali.

La teoria dell’avvelenamento, sia per opera del collega Antonio Salieri che per proprio sciagurato intervento, è certamente quella più suggestiva, ma è poco più che una leggenda. Rimangono quattro linee di indagine: infezioni, malattie cardiovascolari, problemi renali, o cause più generiche. A livello infettivo sono state proposte l’endocardite batterica, la setticemia, la tubercolosi, e negli negli ultimi anni si è fatta strada l’idea di una febbre reumatica. Fra le cause cardiovascolari è stato ipotizzato l’infarto, oltre a una possibile insufficienza cardiaca.

Speculazioni su anormalità della forma dell’orecchio di Mozart – stimolate da alcune lettere scritte dal padre Leopold – hanno  suggerito che la causa della morte potesse essere un’insufficienza renale, dato che talvolta deformità auricolari sono concomitanti ad anomalie del tratto urinario. Infine, negli anni ’80 dello scorso secolo, si è fatta l’ipotesi di una malattia molto rara chiamata Porpora di Schönlein-Henoch, che – nei casi più estremi – può portare a dei blocchi renali e a un’emorragia cerebrale.

Ma perché tante persone sono interessate al tema? È curioso notare, dice il New York Times, che il legame fra musica e medicina è molto stretto: una grande percentuale di medici suona uno strumento, e molti degli stessi studiosi che fanno le varie diagnosi sulla morte di Mozart sono a loro volta musicisti. Inoltre l’idea che anche un genio della musica come Mozart, per certi versi più di un essere umano, possa subire gli stessi imprevisti e malanni che subiscono le persone comuni genera una fascinazione: è un po’ come se questa vulnerabilità li avvicinasse a noi.