Fini vuole fare pace, davvero?

Cosa ha detto al Foglio e come reagiranno i suoi nemici: non così bene, a occhio e croce

Italian Premier-elect Silvio Berlusconi, right, and right-wing ally Gianfranco Fini, laugh under an umbrella at a rally for fellow party mayoral candidate Gianni Alemanno, in Rome, Thursday April 24, 2008. Right-wing Berlusconi ally Alemanno faces former two-time center-left Rome mayor Francesco Rutelli in a runoff for Rome's mayorship on April 27-28. (AP Photo/Sandro Pace)
Italian Premier-elect Silvio Berlusconi, right, and right-wing ally Gianfranco Fini, laugh under an umbrella at a rally for fellow party mayoral candidate Gianni Alemanno, in Rome, Thursday April 24, 2008. Right-wing Berlusconi ally Alemanno faces former two-time center-left Rome mayor Francesco Rutelli in a runoff for Rome's mayorship on April 27-28. (AP Photo/Sandro Pace)

Proprio quando tutti annunciavano che la resa dei conti tra Berlusconi e Fini fosse questione di ore e le ipotesi andavano dall’annuncio di un partito nuovo da parte dei finiani all’espulsione dal PdL persino dello stesso Fini, a una presa di posizione tranchante e definitiva da parte di Berlusconi, proprio mentre lo stesso Secolo d’Italia era già in stampa con l’edizione dell’indomani che riassumeva queste prospettive:

Insomma, arriverebbe la resa dei conti e non sappiamo cosa metterci. A quanto pare, infatti, si sarebbe giunti infine allo “showdown”, il giorno del giudizio che determinerà la definitiva risoluzione dei conflitti interni al Pdl. O almeno è questa l’aria che tira, a sentire gli analisti più o meno bene informati, che paiono sicuri di attendersi per oggi l’ora delle decisioni irrevocabili. Giusto il tempo di votare la manovra e la riforma dell’università, entrambe in agenda per oggi, e poi…
In effetti, i giornali e i rumors non lasciano presagire nulla di buono. Ma, mazzate di Feltri & Co. a parte, era un po’ tutta la stampa, ieri, a dare per imminente ilredde rationem. Chi vivrà vedrà e in fondo anche la suspence fa parte di quello che sarà sì uno showdown, ma sempre e soprattutto uno show. Ieri in serata, comunque, sono cominciate a circolare indiscrezioni più precise circa le modalità della resa dei conti. Si tratterà, a quanto pare di una vera e propria espulsione di Fini e di Italo Bocchino, Carmelo Briguglio e Fabio Granata, misura che dovrebbe essere valutata da un ufficio di presidenza stasera o al più tardi domani mattina, a manovra approvata. Martedì o mercoledì, inoltre, il premier potrebbe tenere in Parlamento un duro discorso contro l’uso della giustizia a orologeria e contro la magistratura.

Proprio mentre alcuni allacciavano insomma le cinture e altri si mettevano comodi in poltrona a godersi lo spettacolo, Giuliano Ferrara – evidentemente senza por tempo in mezzo dopo la sua spazientita lite con Claudia Fusani dell’Unità alla conferenza stampa di Denis Verdini – se ne è andato da Gianfranco Fini e ne ha raccolto una serie di dichiarazioni riportate come “distensive” e mediatrici poco dopo l’ora di cena dalle agenzie, e pubblicate sul Foglio di questa mattina. Ma al disinnesco della bomba non crede nessuno – al massimo un rallentamento del timer – e l’intervista nel suo complesso appare più un tentativo di consegnare tutte le responsabilità della rottura al fronte avverso mostrandosi concilianti.

“Resettare tutto, senza risentimenti”: con questa formula esordisce in una breve conversazione serale con il Foglio Gianfranco Fini, presidente della Camera, leader di una componente del Pdl con la quale la maggioranza berlusconiana è in rotta aperta dopo mesi di roventi polemiche. Che cosa vuol dire, presidente? “Vuol dire che Berlusconi ed io non abbiamo il dovere di essere e nemmeno di sembrare amici, ma dobbiamo onorare un impegno politico ed elettorale con gli italiani. Per questo ci tocca il compito, anche in nome di una storia comune non banale, di deporre i pregiudizi, di mettere da parte carattere e orgoglio, di eliminare le impuntature e qualche atteggiamento gladiatorio delle tifoserie. È l’unica via per evitare che una deflagrazione senza senso si porti via, tra le macerie di un partito e di una esperienza di governo, la credibilità del centrodestra, prima di tutto nella testa e nel cuore di quanti ci hanno seguito e dato il mandato di rappresentarli. Non ci sarebbero né vinti né vincitori, alla fine della mattanza. Quando dico che si deve chiudere una pagina conflittuale e aprirne una nuova, non faccio appello ai sentimenti, di cui non nego l’esistenza e che hanno la loro importanza per molti di noi; non esibisco né chiedo ipocrisie, faccio invece appello alla ragione, ai fatti, all’analisi politica e alle basi pubbliche e discorsive, intessute di dialogo e di capacità di riflessione comune, di qualunque possibile fiducia tra diverse leadership”.

Messa così, pare una proposta di vivere separati in casa anche se non ci si ama più, per il bene dei bambini, ovvero gli italiani con cui “onorare un impegno politico ed elettorale”. E però Fini cosa offre, visto che l'”atteggiamento gladiatorio delle tifoserie” è sembrato in questi mesi provenire abbondamentemente anche dalla sua parte: sarà in grado di tenerle a bada, per il bene dei bambini?

“Nessuno dei miei amici, tantomeno io, ha mai messo in discussione la leadership di Berlusconi nel partito e nel governo. Il che non significa, tanto più in tempi così turbolenti e gravidi di incognite, rinunciare alle proprie idee”.

Il problema è che “le proprie idee” dei finiani sono vissute dai maggiorenti del PdL come una continua insubordinazione. Spiegalo a Bondi, che non volete rinunciare alle vostre idee.

Come si supera un conflitto tanto duro? “Si prendono le questioni politiche in campo e si discute con spirito liberale, con pazienza, con umiltà e se necessario anche con fervore, ma senza retropensieri, senza farsi condizionare dalle ombre del carattere: lo dico per i miei interlocutori e anche per me stesso, naturalmente”.

Cioè? Ci si mette nell’ordine di idee di non pensare mai, ogni volta che Fini si dissocia da un’iniziativa del governo o di Berlusconi, che stia cercando di costruirsi un suo spazio, che voglia rappresentare una parte più legalitaria e “politica” del PdL, che voglia sottrarre il PdL al berlusconismo e ai berlusconiani e che miri a dare più forza alla sua corrente? Pare difficile, perché sono tutte letture plausibilissime: retropensieri piuttosto retrofondati.

E se poi alla domanda “da cosa si parte” Fini risponde con una dichiarazione di consenso nei confronti del leader dell’opposizione, non sarà facile che ai suoi colleghi del PdL non vengano retropensieri, o retropeggio.

“L’economia e la condizione della società italiana sono il primo punto. Bersani oggi alla Camera è stato da questo punto di vista convincente: c’è un paese reale che deve essere rappresentato fino in fondo, ci sono problemi sociali, dal mercato del lavoro alle relazioni sindacali, che vanno affrontati con giudizio, ci sono categorie da ascoltare e alle quali fornire risposte, c’è da immaginare di nuovo la condizione in cui il paese possa tornare a crescere e a produrre una ricchezza da dividere. Non mi pare che il leader del maggior partito di opposizione voglia avallare un ritorno agli aspetti più radicali ed estremi di una politica che si illuda di risolvere nei processi e nelle indagini della magistratura i propri problemi. Se Berlusconi prendesse lui stesso l’iniziativa di grandi Assise per la crescita del paese, lui che di economia ne capisce e che la vive sulla sua pelle di imprenditore, faremmo fare un passo avanti decisivo a tutta la discussione pubblica in atto, e ci sintonizzeremmo con tanta gente che è in ansia e vuole veder risolti i suoi problemi. Non possiamo limitarci a difendere, in modo secondo me sbagliato, gli interessi di chi ha adottato comportamenti antieuropei nel mercato del latte”.

Ecco, già si immagina con fatica che le parole di Fini convincano la corrente maggioritaria del PdL, figuriamoci se piaceranno poi all’alleato principale, ovvero quello he “ha adottato comportamenti antieuropei nel mercato del latte”.

Fini vuole ripartire dalle questioni poste nella direzione, l’unica finora svolta da parte del Pdl. “Ma per resettare, ripeto, non per replicare. Sono due cose diverse. Sono l’una l’opposto dell’altra. E credo che a Berlusconi piacerebbe riacquistare un ruolo centrale di regia per Palazzo Chigi sul tema della crescita, senza che questo significhi emarginazione di un ministro come Tremonti, che ha segnato alcuni successi importanti. Così anche nei rapporti con la Lega: non è punitivo per Bossi che il Pdl riapra una discussione sul federalismo fiscale, con lo scopo di associare governatori e sindaci di tutto il paese alla decisione su quel che si dovrà fare, una decisione che non può pesare solo sulle spalle di Tremonti e Calderoli”.

Il direttore del Foglio su questa parte si deve essere annoiato, perché quelli non sono temi che lo appassionano e perché sta pensando che hai voglia a riportare il sereno parlando dei “temi della crescita”. I guai nel PdL sono ben altri.

Opponiamo a Fini un’impressione diffusa, che sia ormai molto più la questione del potere nel partito e quella del rapporto tra legalità e garantismo a dividere i quadri, le truppe e il corpo di base del Pdl. Fini non respinge l’osservazione, ma precisa: “Non tutti i problemi vengono dalle posizioni che ho espresso e che alcuni miei amici nel partito hanno espresso. In Sicilia è una specie di caos politico. A Latina e a Reggio Calabria emergono divisioni profonde ai massimi livelli amministrativi. Un partito deve costruire un suo baricentro, inventarsi un modo per convivere, deve sentirsi diretto entro uno sforzo comune. Anche qui si può resettare tutto, e senza risentimenti. Berlusconi non ha nelle sue corde il “modello partito”, questo lo so, ma non c’è conflitto tra la sua leadership e un maggiore ordine politico nel Pdl. E a questo si collega anche il fattore della ‘questione morale’, espressione che per la verità non amo e sa di moralismo vecchio stile, magari di moralismo politicizzato, il peggiore. Vede, garantismo e legalità non sono in conflitto. La mia solidarietà verso chiunque sia colpito da gogna mediatica e da accanimenti palesi è di antica data, e resta intatta. A Napoli ho parlato della stranezza del comportamento di un sottosegretario che si dimette senza avvertire l’opportunità di dimettersi anche da coordinatore regionale: ho invece letto il giorno dopo sul Giornale di famiglia che avevo chiesto la testa di Silvio Berlusconi. Certo che se poi gli ultras, sempre nemici di ogni buon compromesso politico, riportano al capo che io voglio fare un repulisti giustizialista, allora prevale la logica degli anatemi”.

E a nessuno dei lettori di questa conversazione tra i dirigenti del PdL attaccati in questo mesi dai finiani verranno in mente le parole di indubitabile “repulisti giustizialista” pronunciate da Granata, da Bocchino, da Fare Futuro? Richieste di dimissioni, di pulizia interna, di superamento delle collusioni con la mafia e col malaffare. Legittime o no – più probabilmente sì – se non lo si chiama voler “fare un repulisti giustizialista” può essere solo per una accorta scelta delle parole e un più rispettoso rapporto coi colleghi di partito. Ma quello hanno chiesto finora.
Conclude Fini:

“Non è possibile equivocare la mia posizione: io ho radici e appartenenza culturali e politiche chiare. Qui sto e qui resto, in ogni senso. Nel senso dello schieramento e delle idee portanti. Poi, certo, penso che dovremmo discutere seriamente di un codice etico, riflettere seriamente su quanto detto ieri dal neopresidente della Corte dei conti, del disegno di legge contro la corruzione, e penso che tutto ciò sia nell’interesse comune di un’impresa comune, quindi anche nell’interesse di Berlusconi. D’altra parte, se la presidente della commissione Giustizia Giulia Bongiorno e il ministro Guardasigilli Angelino Alfano si accordano su un testo che libera il governo e la maggioranza dall’assedio, che fa respirare il potere e la libertà del Parlamento, vuol dire che due teste pensano meglio di una, ed è questo che dobbiamo valorizzare. So bene che Roberto Maroni e gli altri uomini di punta del Viminale stanno facendo un lavoro di immensa importanza per la legalità, quella vera, non quella fatta di sole parole. Se avessi dubbi radicali, se davvero fossi sfiduciato e amaro, non direi, anche sulle questioni della legalità, che si può e si deve resettare tutto, per scrivere un nuovo capitolo con un minimo di ottimismo”.

Vedremo. Ma anche in queste ultime parole, leggendo come la demolizione del ddl sulle intercettazioni sia definita orgogliosamente da Fini “un testo che libera il governo e la maggioranza dall’assedio, che fa respirare il potere e la libertà del Parlamento”, è impossibile non pensare a quello che nello stesso momento, qualche isolato più in là ne stava dicendo Silvio Berlusconi:

«Questa legge è stata massacrata e io sono tentato addirittura di ritirarla. Migliorerà qualche cosa, ma non ridà al cittadino l’inviolabilità delle comunicazioni che è in Costituzione. Stiamo a lavorare delle notti, abbiamo mandato fuori un bel cavallo e viene fuori un ippopotamo….»