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  • Sabato 24 luglio 2010

Un americano su cento è un carcerato

Un cittadino statunitense su cento è un carcerato, un'inchiesta dell'Economist prova a capire perché

Negli Stati Uniti un cittadino ogni cento adulti si trova in carcere. Il calcolo è stato effettuato dall’Economist, che nel numero di questa settimana dedica alle carceri statunitensi un lungo articolo, cercando di comprendere le cause di un così alto numero di carcerati. La quantità di adulti in prigione negli Stati Uniti oscilla tra i 2,3 e i 2,4 milioni di persone. Fatte le dovute proporzioni, negli USA si incarcera cinque volte di più che in Gran Bretagna, nove volte di più rispetto alla Germania e dodici volte in più rispetto al Giappone. L’alto numero di carcerati porta, inevitabilmente, a un considerevole sovraffollamento delle strutture per la detenzione. Mediamente, le carceri federali hanno il 60% di carcerati in più rispetto alla loro effettiva capacità.

Secondo l’Economist, sono almeno tre le cose che non funzionano nel sistema giudiziario statunitense:

Primo: imprigiona troppe persone per troppo tempo. Secondo: si criminalizzano atti che non andrebbero criminalizzati. Terzo: è imprevedibile. Molte leggi, specialmente quelle federali, sono scritte in maniera così vaga da non consentire alla persone di sapere se le abbiano effettivamente violate o meno.

Nel 1970 si contava mediamente un carcerato ogni quattrocento cittadini, oggi il rapporto è invece uno a cento. L’aumento considerevole del numero di carcerati si è registrato in seguito a una serie di leggi emesse dai Settanta in poi con l’intento di contenere gli episodi di violenza. Le norme che prevedono pene leggere sono così diminuite, mentre le leggi che contemplano pene esemplari e più dure si sono moltiplicate.

Molte delle leggi approvate dopo gli anni Settanta hanno ridotto la discrezionalità dei giudici, che in molti casi non hanno più la possibilità di emettere sentenze con pene più lievi commisurate all’effettiva gravità dei crimini commessi. Un coltivatore di orchidee può così ritrovarsi condannato a condividere la cella per un anno e mezzo con un paio di spacciatori con l’accusa di aver contrabbandato specie protette, mentre chi vende illegalmente farmaci rischia di rimanere in prigione quindici anni, come racconta Michelle Colette all’Economist:

«Pensavo di farlo una sola volta – racconta – ma era così facile fare dei soldi in quel modo. E poi ho pensato: non si tratta mica di eroina». Poi la donna divenne dipendente degli stessi farmaci che vendeva. Con il suo ragazzo non si trovava bene, ma non voleva lasciarlo perché non voleva che il proprio figlio dovesse crescere senza un padre, così come era successo a lei. Così decise di impasticcarsi per dimenticarsi dei suoi problemi. In breve tempo iniziò a prendere tra le 20 e le 30 pillole al giorno [di oppiacei].

Colette e il suo ragazzo furono arrestati nel corso di un raid della polizia. Gli agenti trovarono nella loro casa 607 pillole e circa 900 dollari in contanti. Il ragazzo decise di negare le accuse e finì con una condanna a 15 anni in prigione, mentre Colette decise di patteggiare e ottenne una condanna a sette anni di carcere. Una sentenza molto dura, contestata dallo stesso giudice obbligato ad applicare quanto previsto dalla legge:

«Non penso sia giusto. Non penso che sia questa la funzione delle nostre leggi. Ci costerà più di 50mila dollari all’anno per mantenerla in prigione. Se ne avessi avuto l’autorità, l’avrei mandata in prigione per non più di un anno… e le avrei poi fatto seguire un programma di disintossicazione.»

Colette ha potuto seguire un trattamento per disintossicarsi, ma è stata successivamente imprigionata. In carcere, la donna ha scoperto di essere incinta e una volta partorito il bambino ha potuto rimanere in sua compagnia per meno di due giorni, prima di essere riportata in cella. Scontata la pena, Colette ha trovato lavoro come commessa, cerca di non ricadere nelle tentazioni della dipendenza e confida che suo figlio si abitui presto alla sua vera madre.

Le leggi contro la droga e lo spaccio illegale di farmaci negli Stati Uniti sono estremamente severe e spesso portano gli stessi medici a temerle. Molti dottori cercano di non prescrivere troppi farmaci per la terapia del dolore per evitare di essere accusati di traffico di medicinali. Nel 2004, un medico fu condannato a 25 anni di prigione perché alcuni suoi pazienti rivendevano i farmaci che ottenevano con le sue prescrizioni. Alla fine fu riconosciuta la buonafede del medico, che riuscì a uscire dal carcere, ma solo dopo quattro anni di prigionia.

In alcuni Stati anche le leggi per chi è recidivo sono molto severe e contemplano in genere l’ergastolo. Queste leggi si applicano per i crimini più gravi, ma in alcune parti degli USA sono applicate anche per chi commette lievi reati. Si stima che almeno 3.700 persone stiano scontando una pena a vita nelle carceri della California per crimini di poco peso: la legge dà tre possibilità e alla terza recidiva la pena diventa massima.

Gli innocenti a volte si dichiarano colpevoli per avere una pena inferiore ed evitare il rischio di averne una molto più consistente. Anche i testimoni sono consapevoli di questi rischi e spesso assecondano le richieste dei pubblici ministeri, che fanno leva sulla possibilità di far infliggere pene molto severe nel caso di mancata collaborazione.

Ci sono più di quattromila crimini previsti dalle leggi federali, e molte altre norme che portano a condanne penali. Quando gli analisti del Congressional Research Service hanno provato a contare il numero di diversi reati presenti nei codici, sono stati costretti a rinunciare, erano esausti. Le regole che riguardano la gestione delle società o la protezione dell’ambiente sono spesso impossibili da capire, eppure la loro violazione può farti finire in prigione.

Non c’è dunque da stupirsi se poi le prigioni statunitensi sono sovraffollate e se ogni cento abitanti uno si trova in carcere. Eppure, le leggi molto severe e la concreta possibilità di finire in prigione non sembrano funzionare come deterrenti. Il numero di crimini commessi è in riduzione, ma secondo i detrattori di questo sistema che ormai impera negli Stati Uniti da 40 anni le cose stanno diversamente.

Secondo Bert Useem della Purdue University e Anne Piehl della Rutgers University, un 10% di persone in più in prigione riduce al massimo la criminalità di uno 0,5%, e non del 2% come sostengono i sostenitori delle leggi con il pugno di ferro.

Negli Stati che imprigionano il maggior numero di persone, mettere in carcere ancora più individui potrebbe far aumentare il crimine, sostengono i due ricercatori. A volte i carcerati escono dalla prigione diventando dei criminali migliori. E aumentare il tasso di carcerati significa incarcerare persone che sono, mediamente, meno pericolose di quelle che sono già dietro le sbarre. Uno studio recente ha dimostrato che, nel corso degli ultimi 13 anni, la proporzione di nuovi prigionieri in Florida che hanno commesso crimini violenti è diminuita del 28%, mentre quelli dentro per “altri” crimini sono aumentati del 189%. Questi “altri” crimini non erano di natura violenta e non interessavano nemmeno la droga o il furto, ma cose più semplici come guidare con una patente sospesa.

Nelle carceri statunitensi sono circa 200mila i carcerati sopra i cinquant’anni. In molti casi se venissero rilasciati non costituirebbero un grave pericolo per la società. Inoltre, in prigione si invecchia rapidamente e male e sono in molti ad aver bisogno di costose cure mediche, che gravano sul sistema. Nello Stato del Mississippi mantenere un carcerato costa 18mila dollari, mentre in California arriva a costare anche 50mila dollari.

La recessione economica ha così indotto gli Stati a fare economia, riducendo notevolmente il numero di nuovi carcerati. Nel 2009 la popolazione carceraria statunitense è diminuita dello 0,3% nei penitenziari statali, la prima diminuzione dal 1972. In compenso, le carceri federali hanno registrato un aumento pari al 3,4%. A questi ritmi il problema dell’affollamento nelle carceri non potrà essere risolto facilmente, salvo non si cominci a ripensare le leggi per ridurre la severità delle pene.