Libero e il complotto Mondadori

Libero tenta di tirare fuori Berlusconi dal coinvolgimento negli affari della ghenga, con risultati discutibili

Il grande complotto mancava, in effetti. Conosciamo alcuni degli affari in cui era impegnata la presunta ghenga di Carboni: in primo luogo gli appalti sull’eolico in Sardegna, poi una serie di magheggi con la magistratura. La nomina di Alfonso Marra alla Corte d’appello di Milano, le pressioni sui giudici della Corte costituzionale in vista della sentenza sul lodo Alfano, i tentativi di dare una mano a Formigoni perché la sua lista elettorale venisse riammessa. Poi c’è il capitolo sui presunti affari con la camorra, ancora piuttosto oscuro, e lo scambio di denaro con Denis Verdini, di cui aveva raccontato ieri Repubblica. Sappiamo che i tre facevano spesso riferimento al PresDelCons, che secondo i carabinieri chiamavano “Cesare” e che è sospettato di essere stato informato passo passo delle loro attività, attraverso Marcello Dell’Utri e Giacomo Caliendo.

Il vice direttore di Libero Franco Bechis propone oggi un’ulteriore lettura dei fatti (la propone e la smonta, a dire la verità, ma ci arriviamo). Bechis scrive che nelle 15 mila pagine allegate all’inchiesta, una parola compare 430 volte: Mondadori. E proprio la Mondadori – e quindi Silvio Berlusconi – sarebbe ritenuta dagli inquirenti la vera beneficiaria dei traffici della lobby. Ora, che in ultima analisi Berlusconi sia il destinatario dei movimenti della ghenga appare già argomentato. Non solo avendo letto i loro obiettivi – il lodo Alfano, il listino di Formigoni – ma anche sapendo che nel corso degli interrogatori i tre lo hanno detto apertamente. Lombardi ha detto che faceva tutto per ingraziarsi il premier, per ottenere la sua attenzione. Quello di cui si discute, su cui la magistratura deve ancora far luce, è quanto e se Berlusconi ne fosse consapevole o complice: se i tre della ghenga avevano un mandato preciso o erano dei “pensionati sfigati” in cerca di attenzioni. In ogni caso, dice Libero, l’affare collegato a Mondadori sarebbe il colpo più grosso della ghenga: un favore da 200 milioni di euro a vantaggio di Berlusconi.

Secondo i magistrati romani tutto questo gran daffare per piazzare giudici amici in posti che contano sarebbe servito alla triade della P3 (Flavio Carboni, Arcangelo Martino, Pasquale Lombardi) per risolvere un contenzioso tributario del valore di circa 200 milioni di euro che la Mondadori trascinava da quasi 20 anni. Il desiderio della P3 era – sempre secondo l’impianto dell’inchiesta – quella di trasferire quel contenzioso davanti alle sezioni riunite della Cassazione presiedute da un giudice amico della triade, Vincenzo Carbone. Per farlo era necessario il via libera dell’Avvocatura generale dello Stato, fornito da Oscar Fiumara, che proprio per questo viene avvicinato dalla P3.

Insomma, il tentativo di fare un favore a Berlusconi con Mondadori non sarebbe uno dei molti tentativi maneggioni della ghenga bensì l’interesse ultimo e finale. Quello a cui si deve “tutto il gran daffare per piazzare giudici amici in posti che contano”. Bechis cita quindi un passaggio dei rapporti dei carabinieri che descrive quest’ipotesi: nei giorni scorsi se n’erano occupati anche il Fatto e il Messaggero.

«Si ipotizza che l’interesse degli indagati riguardi l’assegnazione alle sezioni unite della Cassazione di un ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria e che vede come parte in causa la società Mondadori. Secondo notizie giornalistiche ricavate da articoli pubblicati sul quotidiano La Repubblica nei giorni 28 e 30.10.2009 il ricorso dell’Agenzia delle Entrate sarebbe stato effettivamente rimesso alle Sezioni Unite (…) su richiesta delle parti in causa con l’adesione dell’avvocatura generale dello Stato per conto dell’Amministrazione finanziaria ricorrente (…) Che tale questione possa essere l’oggetto dell’interesse da parte dei tre indagati potrebbe trovare conferma non soltanto dal fatto che tale vicenda si svolge nel mese di ottobre, ma anche da alcuni riferimenti che si ascoltano nelle conversazioni intercettate».

Mondadori è coinvolta da anni in un contenzioso col fisco italiano per una presunta evasione fiscale relativa al momento della fusione tra la Arnoldo Mondadori Editoriale Finanziaria (Amef) e l’omonima casa editrice controllata (Ame). La Mondadori ha vinto sia in primo grado che in appello, avvalendosi della consulenza di Giulio Tremonti. Ora si è arrivati al terzo grado, la Cassazione, ma intanto Tremonti è passato dalla difesa all’accusa, visto che come ministro dell’economia rivendica l’esazione dei 200 milioni di euro a favore del fisco italiano. E quindi, spiega Bechis, si decide di celebrare il terzo grado a sezioni unite della Cassazione, il campo di battaglia più alto e neutro. Solo che le sezioni unite sono presiedute da Vincenzo Carbone, più volte accostato alla ghenga nelle intercettazioni. Lombardi a un certo punto per ammorbidirlo gli promette di alzare l’età pensionabile dei giudici – Carbone ha 75 anni – così da farlo restare dov’è ancora un po’.

Qui però bisogna fare un passo indietro: anche prima che venisse fuori tutta la storia della ghenga, l’inghippo sulla Mondadori e Carbone era già emerso. Siamo nell’ottobre del 2009, Repubblica parla dell’esistenza di una norma ad personam nella finanziaria in discussione: permette a chi ha già avuto due giudizi favorevoli nei processi tributari – come Mondadori, appunto – di evitare il terzo grado pagando il 5 per cento di quanto contestato. I finiani si misero in mezzo e la norma fu cancellata dalla finanziaria. Bechis scrive che per questa ragione a quel punto la ghenga si butta su Carbone: se proprio si doveva arrivare in Cassazione, meglio cercare di ingraziarsi il presidente della Corte. Solo che il teorema, prosegue Bechis, non regge: perché la famigerata norma ad personam è diventata legge poco tempo dopo, nella disattenzione generale.

Ma i magistrati facendo acquisire tonnellate di materiale si sono dimenticati di fare seguire i successivi lavori parlamentari. Perché quell’emendamento – ironia della sorte – è stato ripresentato alla Camera mentre Fini dormiva a fine aprile scorso. È stato anche votato e inserito nella legge sugli incentivi ed è legge dello Stato italiano dal 22 maggio scorso. Quindi se tutta la P3 doveva servire a fare un favore da 200 milioni a Berlusconi, il teorema accusatorio non regge. Perché di quel favore la Mondadori non ha più bisogno.

La conclusione di Bechis è evidentemente forzata: il fatto che sei mesi dopo il primo tentativo la norma sia stata effettivamente approvata non esclude che quello di Carboni e i suoi sia stato un tentativo di corruzione a tutti gli effetti, poi reso superfluo dalla successiva approvazione del cosiddetto “lodo Mondadori”, avvenuta ad aprile come spiega lo stesso Bechis. Tant’è che molte delle conversazioni di Lombardi con lo stesso presidente della Cassazione ricadono proprio in quei sei mesi lì: iniziano proprio a ottobre del 2009, proseguono a gennaio, a febbraio. Nel periodo tra la bocciatura della norma e la sua approvazione. Se davvero, per ragioni sue, Libero vuole sostenere che i magistrati mirino all’ipotesi che la ghenga lavorasse per aiutare Mondadori, quell’ipotesi non è per ora contraddetta. Se davvero.