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  • Venerdì 16 luglio 2010

Il lato oscuro del wrestling

Dopo aver reso celebre il wrestling, Linda McMahon ha lasciato la WWE per candidarsi al Senato

Insieme al marito Vince, all’inizio degli anni ’80 Linda McMahon prese in mano una società che si occupava di wrestling e, anno dopo anno, la trasformò nella World Wrestling Entertainment (WWE) che conosciamo adesso: un impero di spettacoli di lotta del valore di 1,2 miliardi di dollari, che opera in 145 nazioni.

Nel settembre dell’anno scorso Linda McMahon ha lasciato il ruolo di amministratore delegato della società per lanciare una campagna autofinanziata per il posto di senatore repubblicano in Connecticut, per cui ha già raggiunto i 20 milioni di dollari. Il successo della famiglia McMahon con la WWE è indubbio ma secondo quanto scrive il New York Times anche molto inquietante.

lungo la strada, i McMahon si sono fatti conoscere per le strategie senza scrupoli, e sono stati accusati di aver messo l’interesse per i profitti davanti al benessere dei wrestler, che attraggono milioni di fan con le loro mosse spericolate e i fisici scolpiti da cartone animato.

«È un’azienda di grande successo finanziario,» dice Dave Meltzer, il direttore della Wrestling Observer Newsletter. «Ma, ehi, la sede di quell’azienda è piena di cadaveri.»

Dopo aver rilevato la piccola azienda nell’82, i McMahon sono riusciti a renderla un business nazionale prima garantendosi gli incassi dei diritti televisivi degli spettacoli, poi creando una propria televisione via cavo. Ma la mossa geniale è stata una in particolare. Sotto la pressione delle commissioni atletiche statali che richiedevano alla WWE controlli e regolamentazioni sanitarie molto ferree, McMahon ha fatto qualcosa che nessuno aveva fatto prima: ha dichiarato che nel wrestling era tutto finto.

La strategia ha funzionato e funziona tutt’ora. La WWE oggi opera in 29 stati senza alcuna supervisione da comitati e commissari esterni, e senza l’obbligo di pagare diverse tasse destinate agli enti sportivi.

«È stata la prima volta che qualcuno interno del business sportivo ha ammesso pubblicamente che si trattava di uno spettacolo e non di uno sport,” ha detto Dick Ebersol, il presidente di NBC Sports, che ha collaborato a diversi progetti con i McMahon. «Lavorare in questa terra di nessuno li ha tirati fuori da tante inutili regolamentazioni sportive.»

Se sulla carta l’esclusione del wrestling dalla categoria sport è comprensibile, nella pratica ha avuto delle implicazioni drammatiche, come sa chi ha visto il film con Mickey Rourke.

«Tutti credono che, fisicamente, nel wrestling sia tutto falso; che nessuno si fa male,» dice Allen Ray Sarven, ma la sua esperienza racconta una storia diversa.

L'”esperienza” di cui parla Sarven — un ex wrestler, nome d’arte Al Snow — è il danno neurologico che ha avuto come conseguenze un assopimento di parte dell’area destra del corpo, la perdita di udito e i problemi di memoria, tutti infortuni dovuti ai suoi anni da wrestler. E sono decine i suoi colleghi che hanno avuto simili conseguenze. Molti, a un certo punto della loro carriera, sono stati considerati inutili dalla WWE: che non ha rinnovato i loro contratti e li ha abbandonati senza un’assicurazione sanitaria o una pensione.

Perché, e questa è un’altra delle grosse critiche mosse alla gestione McMahon, la WwE non assume i wrestler, che rimangono quindi lavoratori indipendenti, liberandosi dall’obbligo di garantire loro i vari sussidi che meriterebbero, dalla previdenza sociale all’assicurazione sanitaria. E per ogni wrestler famoso con contratti annuali da milioni di dollari, ce ne sono decine e decine che guadagnano sì e no 35 mila dollari l’anno.

La più grave tra le diverse cause intentate contro la WWE è probabilmente quella del 2007. Una commissione d’inchiesta aveva scoperto l’uso spropositato di steroidi, sul quale l’azienda dei McMahon aveva deliberatamente fatto finta di niente. Nel corso degli anni, la WWE ha abbandonato più volte programmi di analisi antidoping sui wrestler. Quando le è stata chiesta una spiegazione, McMahon ha spiegato come i test fossero troppo costosi, a fronte dei pochi risultati positivi che riscontravano.

I wrestler stessi hanno cercato più volte di tutelarsi dalle politiche dell’azienda, senza mai arrivare ad alcun successo. Negli anni ’80 Jesse Ventura, un ex wrestler poi diventato governatore del Minnesota, ha provato a creare un sindacato a cui però si sono uniti pochissimi suoi compagni a causa dei contratti che glielo impedivano. Iscriversi avrebbe potuto costargli la carriera.

McMahon si difende da tutte le accuse spiegando come le critiche arrivino solo da chi non conosce l’evoluzione che ha avuto quest’industria nel corso degli anni.

Anche se l’azienda non copre l’assicurazione sanitaria dei wrestler, McMahon afferma di aver pagato direttamente per gli infortuni accaduti sul ring. «La WWE vuole ovviamente mantenere intatti la salute e il benessere dei suoi talenti.» McMahon ha difeso anche la decisione dell’azienda di considerare i wrestler come liberi professionisti, facendo notare come questi siano rappresentati da agenti e dovrebbero essere quindi visti come cantanti, giocatori di golf o tennis.

Il New York Times ci tiene poi a specificare che molti wrestler, sia contemporanei che del passato, hanno rifiutato di rilasciare dichiarazioni per l’articolo, spiegando chiaramente di essere preoccupati per la possibile reazione dei McMahon.