In attesa di Verdini

Ieri sono arrivate le prime dimissioni dei personaggi coinvolti nell'inchiesta sulla lobby di Carboni

Mentre si discute ancora della possibilità che Denis Verdini dia le dimissioni da coordinatore del PdL – ieri Italo Bocchino ha detto al Post che “sarà costretto a dimettersi” – altre due persone coinvolte a vario titolo nell’inchiesta su Flavio Carboni e la sua organizzazione – qui e qui le puntate precedenti – hanno fatto un passo indietro, lasciando gli incarichi che ricoprivano prima che i dettagli sull’inchiesta venissero fuori.

È il caso di Ernesto Sica, assessore regionale campano, che le intercettazioni e i verbali dell’inchiesta hanno raccontato aver partecipato attivamente a un tentativo di screditare l’allora candidato del PdL Stefano Caldoro, oggi presidente della Campania. Per quanto la cosa possa sembrare sorprendente – un politico futuro assessore del PdL vuole distruggere la carriera del candidato futuro governatore del PdL? – è sufficiente ricordarsi in quale contesto maturò la candidatura di Caldoro per comprendere il quadro della situazione: fino a poche settimane prima la presentazione delle liste il candidato naturale del PdL era Nicola Cosentino, allora già coinvolto in diverse inchieste su suoi presunti rapporti con la camorra. Carboni e i suoi lavoravano perché la sua candidatura andasse a buon fine, quando la situazione di Cosentino si fa politicamente insostenibile: due richieste di autorizzazione a procedere contro di lui da parte della magistratura, Fini che dice che la sua candidatura “non è nel novero delle cose possibili”. Il PdL cambia cavallo puntando su Caldoro e allora – secondo la procura – Carboni, Lombardi e lo stesso Sica tentano di farlo fuori, mettendo in giro voci su false accuse fatte a Caldoro da pentiti di camorra e su suoi presunti rapporti con transessuali. Caldoro vincerà le elezioni, Sica sarà nominato assessore (secondo molti per volontà diretta di Berlusconi), ieri è arrivato l’epilogo del loro rapporto: e Repubblica racconta che rimettendo il suo mandato nelle mani del governatore della Campania Sica gli abbia detto: “Guarda che io sono il più fesso, lì in mezzo”.

L’altro passo indietro arrivato durante il weekend è quello di Antonio Martone, magistrato e già presidente dell’ANM, che ha deciso di lasciare la magistratura e andare anticipatamente in pensione. La posizione di Martone sembra essere più leggera di quella degli altri componenti della lobby, e le dimissioni sono arrivate a seguito della sua partecipazione all’ormai famosa cena a casa Verdini durante la quale si sarebbe parlato di lodo Alfano tentando di avvicinare la Corte Costituzionale, che si sarebbe dovuta esprimere sul tema di lì a poco. A quella cena parteciparono Lombardi, Carboni e Martino (tutti e tre in carcere), Dell’Utri, il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo e – per l’appunto – Antonio Martone, che rivendica al Corriere della Sera la sua estraneità agli obiettivi della lobby.

Martone mette le mani avanti: «Io sono stato chiamato da Verdini per discutere di federalismo fiscale. Poi, certo, di “Lodo Alfano” si è parlato, era un argomento di moda. Ma non ho mai tentato di condizionare nessuno per nessuna decisione». Ma cosa c’entrava Flavio Carboni con il federalismo fiscale? Martone scuote la testa. «Non lo so, in effetti. Quando sono arrivato a casa di Verdini soltanto dopo un quarto d’ora ho realizzato che a quella riunione c’era Carboni. Ma mi è stato difficile girare i tacchi e andare via». E Arcangelo Martino? Pasquale Lombardi? Che c’entravano? «Ah, Lombardi e Martino avevano organizzato anche il convegno al Forte Village su questo argomento, proprio pochi giorni prima dell’incontro a casa di Verdini. Mi è sembrato normale vederli lì».