Le accuse dei finiani

Il Secolo pubblica la cronologia delle tensioni tra Berlusconi e Fini, viste dai sostenitori del secondo

A firma di Carla Conti, il Secolo pubblica oggi una cronologia delle tensioni tra le due correnti di fatto createsi nel PdL, quella fedele a Silvio Berlusconi e quella dissidente di Gianfranco Fini, a cui fa capo lo stesso quotidiano. È una ricostruzione interessante per capire come i finiani mettano le questioni di politica al centro dei dissidi piuttosto che le ipotesi e le voci complottarde.

Non sappiamo se tra Berlusconi e i “finiani” sarà strappo, riconciliazione, ri-definizione del patto, separazione consensuale, espulsione, deferimento ai probiviri o chissà che altro. Ma, qualunque cosa sarà, vale la pena di tracciare una sorta di cronologia minima degli ultimi due mesi, diciamo dalla direzione del 22 aprile a oggi, con uno scopo che dichiariamo in anticipo: contrapporre la logica dei fatti alla strategia comiziale di chi disegna questa fase come l’ultimo atto di una “congiura”. È un Bignami minimo di come vanno, di come sono andate, le cose nel Pdl. Avvenimenti, parole dette e scritte con significati inequivocabili e non contrabbandabili per altro.

22 aprile – La prima direzione nazionale del Pdl viene convocata con il seguente ordine del giorno: analisi del voto; iniziative del partito, dei gruppi parlamentari e del governo per l’attuazione del programma elettorale del prossimo triennio. Gianfranco Fini interviene dopo i ministri e segnala tre questioni a suo avviso da affrontare: la subalternità del Pdl alla Lega Nord, la necessità di valutare i costi del federalismo in relazione alla crisi economica in atto, la mancanza di confronto all’interno del partito che genera spesso scelte sbagliate o poco condivise. Berlusconi risponde contestando il diritto di Fini a parlare («se vuoi fare il politico dimettiti da presidente della Camera…»). E la seduta si conclude con l’approvazione di un documento che definisce «pretestuose e comunque non commisurate ad un dibattito responsabile e costruttivo» le critiche avanzate e sentenzia che correnti o componenti «negano la natura stessa del Popolo della Libertà». I “finiani” votano contro.

29 aprile – Italo Bocchino si dimette da vicecapogruppo vicario alla Camera del Pdl dopo che il capogruppo Cicchitto ha dichiarato esaurito il rapporto fiduciario. Ma i “finiani” sostengono, come hanno promesso, l’attività del governo e del gruppo con senso di responsabilità. In nessuna circostanza “si va sotto” per la loro assenza. Nell’unica seduta-fiume dell’anno, quella per convertire in legge il decreto Bondi sugli enti lirici, che dura ininterrottamente due giornate e una notte, è Fabio Granata a “tenere” no-stop la postazione al tavolo dei nove (che gestisce il dibattito d’aula) per mandare in porto il provvedimento.

30 aprile – Scoppia il caso Scajola. Il premier respinge l’idea di dimissioni del ministro, ma ai giornali non sfugge il silenzio della Lega. I “finiani” sono cauti. Italo Bocchino esprime persino solidarietà al ministro ma consiglia al governo di “rilanciare la sua immagine” approvando subito il disegno di legge anticorruzione che giace al Senato. La stessa tesi viene sostenuta, dopo le dimissioni di Scajola, nel direttivo del Pdl alla Camera. Cicchitto boccia l’idea senza appello. «Dopo il caso Scajola, potrebbe sembrare una strumentalizzazione e una forzatura», è l’argomento.

2 maggio – La crisi greca è su tutte le prime pagine, comincia a diffondersi la convinzione di un collasso europeo che renderà necessaria una manovra anche in Italia. È evidente che c’è un’emergenza alle porte, i “finiani” chiedono che la crisi diventi la priorità per il governo.

5 maggio – Scajola si dimette.

15 maggio – Nel Pdl i “pontieri” sono al lavoro con colloqui e incontri informali. La polemica esterna è quasi azzerata. Nessun controcanto su “Fare futuro”, nessuna dichiarazione polemica da Generazione Italia che si limita a raccogliere adesioni sul territorio.

19 maggio – Al Senato, in Commissione Giustizia, con una serie di “strappi” viene riscritto il ddl sulle intercettazioni. Il testo concordato alla Camera è stravolto, cade anche il “diritto di riassunto” che tutelava l’informazione. Succede un putiferio, alcune delle modifiche saranno ritirate dopo le critiche arrivate dai media, dai magistrati ma anche dalle associazioni di polizia. I “finiani” cercano di aprire la strada a modifiche migliorative: «Silvio Berlusconi adesso deve mettere in un angolo i pasdaran che lo spingono alla rissa con Fini e fare finalmente una legge equilibrata», dicono i “finiani” nel giorno in cui si riunisce l’ufficio di presidenza del Pdl, l’8 giugno, per mettere a punto un maxiemendamento da portare in aula. Subito dopo, sorpresa: il governo mette la fiducia. I finiani votano disciplinatamente, passano sotto le forche caudine del sarcasmo dell’opposizione, evitano conflitti esterni.

17 giugno – A sorpresa Berlusconi annuncia la nomina di Aldo Brancher a ministro per l’attuazione del federalismo. Giura il giorno dopo. Tutti restano sorpresi, ma nessuno esterna. Sta andando avanti la trattativa tra partito e minoranza “finiana” per individuare meccanismi interni di garanzia, l’indicazione è “calma e gesso”. A sorpresa, però, è la Lega ad alzare gli scudi. Bossi tuona: «C’è un solo ministro del federalismo e sono io». Parte così il lungo balletto sulle deleghe del neo-ministro. Un imbarazzato Calderoli deve spiegare che si è trattato di una svista. La situazione si fa insostenibile quando, il 24 giugno, dando corpo ai sospetti lanciati fin dal primo giorno dall’opposizione, Brancher chiede di avvalersi della legge sul legittimo impedimento per saltare l’udienza del processo di Milano sulla scalata a Antonveneta che lo vede imputato.

25 giugno – Mentre persino i “berluscones” ammettono che Brancher ha fatto una sciocchezza, il presidente Napolitano interviene con una nota: «Non c’è nessun ministero da riorganizzare, Brancher è un ministro senza portafoglio, non gli serve nessun legittimo impedimento». È un disastro. Fronte aperto col Quirinale. Polemiche roventi con la Lega. Gli unici che stanno buonini sono proprio i “finiani”, che puntano a un’intesa di garanzia interna e a una exit-strategy sulle intercettazioni immaginando il rinvio a settembre del voto per poter mettere mano a un sostanziale miglioramento delle norme.

27 giugno – Berlusconi parte per il G8. Il giorno dopo sui giornali tiene banco la faccenda della “dama bianca” sull’aereo di Stato (una segretaria della Regione Lazio). Il premier è furioso, dice che sulla missione sono state raccontate solo bugie, invita gli italiani a scioperare contro i giornali «per insegnargli a non prendere in giro i loro lettori». Il 30 giugno la conferenza dei capigruppo della Camera si riunisce e il Pdl insiste, a sorpresa, per mettere in calendario il ddl intercettazioni il 29 luglio: l’idea esibita in tutte le dichiarazioni e su tutti i giornali dai dirigenti del partito è quella di un’approvazione-lampo “con modifiche minime”. «Un puntiglio», commenta Fini: ed è la prima dichiarazione “politica” dopo settimane, il primo “controcanto” per usare il termine che tanto piace a Bondi. Ma è il presidente Napolitano, il 2 luglio, a dare lo stop: «I punti critici nel ddl ci sono e sono chiari».

2 luglio – Un’intervista dell’avvocato Niccolò Ghedini (Napolitano «si faccia eleggere in Parlamento») accende le polveri col Quirinale mentre Berlusconi rientra in Italia, convoca le tv e pronuncia il suo secondo «ghe pensi mi».

E allora, dove sta “il tradimento di Fini”, dove “lo strappo”, dove il “continuo controcanto”? Le vere rupture di questa fase sono quelle avvenute con Bossi (che però “non si tocca” per definizione) e con il Colle (che ovviamente non si può toccare). Quanto a Fini, le tre questioni poste alla direzione il 22 aprile – rapporto con la Lega, crisi economica, gestione del partito – si sono dimostrate nei fatti drammaticamente reali e pericolose per il governo. Altro che critiche pretestuose, complotti e tantomeno tradimenti . Qua il “complotto” contro il Pdl lo fa chi pensa di governare con trovate come il taglio alle tredicesime dei poliziotti o i ministri nominati per sottrarli ai processi. Tutto il resto, è pura chiacchiera.