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  • Mercoledì 30 giugno 2010

Pilato e Salomone nel processo Dell’Utri

Dell'Utri ha definito "pilatesca" la sentenza di Palermo, mentre il procuratore Gatto ha parlato di verdetto "salomonico"

Commentando la sentenza della Corte d’Appello di Palermo che lo ha condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa, assolvendolo per le vicende legate alle stragi degli anni Novanta e alla trattativa tra mafia e stato, Marcello Dell’Ultri ha definito il verdetto “pilatesco”. Secondo il condannato la Corte «ha dato un contentino alla procura palermitana, ma anche una grossa soddisfazione all’imputato perché ha escluso tutto ciò che riguarda le ipotesi dal ’92 in poi». Quello di Ponzio Pilato è un argomento ricorrente quando si commentano le sentenze.

Conosciamo la storia di Pilato grazie alle sacre scritture: la sua esistenza non è stata mai data per assolutamente certa, anche se una lapide a Cesarea (Israele) ricorda un Pontius Pilatus vissuto in periodo tiberiano. Secondo le ricostruzioni storiche era un politico romano di origine sannita che divenne prefetto in Giudea tra il 26 e il 36 d.C. e la sua storia è legata alla passione di Cristo. La vicenda è narrata in tutti e quattro i Vangeli: Gesù fu portato dal prefetto dalle autorità di Gerusalemme che lo accusavano di blasfemia. Pilato chiese a Gesù se si considerasse il re dei Giudei e, secondo il Vangelo di Giovanni, tentò di non condannarlo lasciando al popolo la scelta di salvare il prigioniero o l’assassino chiamato Barabba.

Gli altri Vangeli raccontano una storia simile, ma con sfumature diverse. L’evangelista Marco descrive Pilato come molto riluttante nel condannare Gesù e pronto a scaricare a torto le colpe della condanna sulle autorità di Gerusalemme, che non ne avevano il potere. Per Luca, da parte di Ponzio Pilato c’è il riconoscimento che Gesù non avesse minacciato in alcun modo l’Impero, mentre per Matteo, Pilato si lava le mani del problema e fa eseguire la condanna a morte.

«Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell’acqua, si lavò le mani davanti alla folla: “Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!”»

La versione di Matteo è la più ricordata grazie al passaggio molto concreto e simbolico del lavarsene le mani. L’espressione è sopravvissuta fino ai giorni nostri e viene utilizzata per indicare la scelta di qualcuno di non prendere una posizione netta, lasciando ad altri l’onore della decisione. In realtà Dell’Utri ha utilizzato la citazione biblica liberamente per indicare una sentenza che a suo giudizio cerca di accontentare sia l’imputato che la procura, anche se comunque si può dire che la Corte assolvendo Dell’Utri per la presunta trattativa tra stato e mafia abbia lasciato in effetti alle altre procure che se ne occupano l’onore di fare chiarezza (o che abbia lasciato alla Cassazione la responsabilità ultima sul giudizio).

Anche il sostituto procuratore Antonino Gatto non ha rinunciato a una citazione dalla Bibbia: «Quando ho ascoltato la sentenza mi pareva di sentire la storia di Salomone e del bambino tagliato a metà». Anche questo episodio biblico è entrato tra i nostri modi di dire, grazie all’immagine forte di un re che stabilisce che un bambino venga diviso a metà.

Secondo le sacre scritture, Salomone fu uno dei primi e più importanti re di Israele e regnò tra il 970 e il 930 a.C. circa. Figlio del re Davide, il sovrano si distinse per la propria saggezza divenendo molto amato dal popolo. L’episodio cui fa riferimento Gatto si trova nel primo Libro dei Re. Al cospetto di Salomone un giorno si presentarono due prostitute con un bambino ed entrambe sostenevano di essere la madre del bimbo. Entrambe le donne avevano avuto un figlio, ma uno dei due era morto:

«Il figlio di questa donna è morto durante la notte, perché essa gli si è coricata sopra. Essa si è alzata nel cuore della notte, ha preso il mio figlio dal mio fianco – la tua schiava dormiva – e se lo è messo in seno e sul mio seno ha messo il figlio morto. Al mattino mi sono alzata per allattare mio figlio, ma ecco, era morto. L’ho osservato bene; ecco, non era il figlio che avevo partorito io». L’altra donna disse: «Non è vero! Mio figlio è quello vivo, il tuo è quello morto. E quella, al contrario diceva: «Non è vero! Quello morto è tuo figlio, il mio è quello vivo». Discutevano così alla presenza del re.

Per risolvere la questione, Salomone si fece portare una spada e ordinò di far tagliare a metà il bambino per darne metà a una donna e metà all’altra. La scelta del re fece trasalire una delle due prostitute che, per salvare la vita al bambino, invitò il sovrano ad affidare il bimbo all’altra donna. Salomone poté così giudicare che fosse lei la vera madre del neonato.

La sentenza del re serviva per far venire allo scoperto la vera madre del bambino – Salomone bluffava – ma nell’uso della citazione ha finito per prevalere il riferimento a una scelta drasticamente equa. Il procuratore Gatto ha dunque utilizzato l’espressione non discostandosi di molto dal “pilatesco” di Dell’Utri: la Corte d’Appello ha confermato la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa facendo contenta la procura e intanto ha escluso la parte sulla presunta trattativa tra stato e mafia dando parziale ragione alla difesa.

Ricapitolando, i due modi di dire andrebbero comunque utilizzati per indicare due cose diverse: pilatesco per definire qualcuno che sceglie di non decidere e lascia ad altri il compito, salomonico per chi cerca una soluzione che metta sbrigativamente d’accordo entrambe le parti. E alla fine, Dell’Utri e Gatto hanno pareri simili. Detto salomonicamente.