“Un eroe”

Chi era Vittorio Mangano, considerato "un eroe" da Dell'Utri e Berlusconi

Lo ha ripetuto ieri, Marcello Dell’Utri, dopo la lettura della sentenza del processo d’appello di Palermo: “Mangano è stato il mio eroe”. Lo aveva già detto l’8 aprile del 2008, in piena campagna elettorale, e il giorno dopo aveva detto la stessa cosa Berlusconi. Ogni volta l’affermazione si trascina dietro giorni di reazioni polemiche, tra chi giustamente userebbe la parola “eroe” per descrivere persone con curriculum diversi da quello di Mangano e chi – Berlusconi e Dell’Utri, in questo caso – rivendica di considerare Mangano un eroe non tanto per quello che fece nel corso della sua vita, quanto perché preferì morire malato in carcere piuttosto che accusare Berlusconi e Dell’Utri.

In tutto questo però i giornali raccontano poco di chi fosse Vittorio Mangano, eroe o no, e di cosa avesse fatto nella sua vita a parte “lo stalliere di Berlusconi”. Mangano, che è morto nel 2000 all’età di sessant’anni, nasce a Palermo e lì, prima di compiere trent’anni, passa diverse grane con la giustizia: viene arrestato tre volte e affronta diversi processi. Viene condannato in primo grado per emissione di assegni a vuoto e per truffa. Nel 1973 la sua vita cambia, all’improvviso: tramite Marcello Dell’Utri, che lo conosce da qualche anno, viene assunto come “stalliere” – “fattore”, dirà Berlusconi – nella villa dello stesso Berlusconi, ad Arcore. Per occuparsi dei cavalli, dice Berlusconi. Per garantirgli buoni rapporti con la mafia, dicono i pm di Palermo.

Mangano rimane ad Arcore due anni, fino al 1975. Dell’Utri nega di essere stato a conoscenza dei precedenti di Mangano quando ne consigliò l’assunzione a Berlusconi, mentre i pm di Palermo sostengono il contrario: che Mangano sia stato assunto da Dell’Utri proprio in ragione della sua vicinanza con Cosa nostra, per fare da intermediario e garantire protezione agli affari dell’allora presidente di Fininvest. Berlusconi oggi dice che durante quegli anni Mangano “si comportò benissimo”, eppure il loro sodalizio si interrompe dopo due anni e mezzo: e lo stesso Berlusconi nel 1994 aveva detto di averlo “licenziato” quando scoprì che “si stava adoperando per organizzare il rapimento di un mio ospite”. È lo stesso periodo in cui saltano fuori i tentativi di rapimento ai danni di Piersilvio Berlusconi, ragione per cui Berlusconi e la sua famiglia si trasferiscono in Spagna per alcuni mesi.

Lasciata la villa di Arcore, Mangano torna in Sicilia. Qualche anno dopo sarà arrestato, processato e recluso in carcere, per estorsione e traffico di stupefacenti. È piuttosto nota l’intercettazione telefonica tra Berlusconi e Dell’Utri in cui i due commentano l’esplosione di una piccola bomba artigianale poco distante dalla villa di Arcore: i due attribuiscono il gesto a Mangano e nonostante questo ne parlano come di un gesto “affettuoso e rispettoso”. È Mangano che è fatto così, dicono: “Un altro manderebbe una lettera o farebbe una telefonata, lui mette una bomba”.
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Diversi collaboratori di giustizia nel corso degli anni hanno parlato di Mangano come di un membro di Cosa nostra, ponte tra la mafia e gli imprenditori del nord. Un giudizio espresso anche dal giudice Paolo Borsellino nel 1992, che lo definì una “testa di ponte dell’organizzazione mafiosa nel nord Italia”. Il 19 luglio del 2000 Mangano viene condannato in primo grado all’ergastolo per due omicidi che avrebbe compiuto qualche anno prima, ma muore in carcere tre giorni dopo la sentenza, per un tumore. E questa è la ragione per cui Berlusconi e Dell’Utri dicono di considerarlo un eroe: preferì morire malato in carcere piuttosto che dire ai magistrati delle cose – vere o inventate – sul loro conto.