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  • Martedì 29 giugno 2010

Era meglio non toccare niente?

Diversi scienziati dicono che le operazioni di pulizia del petrolio della BP hanno peggiorato la situazione

In this aerial photo taken in the Gulf of Mexico more than 50 miles southeast of Venice on Louisiana's tip, the Deepwater Horizon oil rig is seen burning Wednesday, April 21, 2010. (AP Photo/Gerald Herbert)
In this aerial photo taken in the Gulf of Mexico more than 50 miles southeast of Venice on Louisiana's tip, the Deepwater Horizon oil rig is seen burning Wednesday, April 21, 2010. (AP Photo/Gerald Herbert)

Dopo il disastro della Exxon Valdez del 1989 in Alaska sono state svolte molte ricerche scientifiche nelle aree colpite dai 38 milioni di litri di petrolio che si erano riversati in mare.

Secondo Simon Boxall, un esperto del Centro Nazionale Oceanografico Britannico che ha aiutato ad analizzare molti dei più gravi disastri petroliferi degli ultimi vent’anni, le zone in cui si era cercato di eliminare il petrolio hanno risentito dei danni molto più a lungo — e in qualche caso ne risentono ancora — rispetto a quelle in cui l’uomo non ha cercato di fare nulla.

Oltre a quello di Boxall, Reuters riporta il pensiero di diversi biologi marini ed esperti ambientali, tutti d’accordo nel sostenere che se l’uomo — in questo caso la BP, l’azienda responsabile del disastro della piattaforma Deepwater Horizon — non avesse tentato di ripulire il petrolio la situazione sarebbe ora sicuramente migliore.

“Uno dei problemi di questa perdita è quello di essere stata discussa sia nelle sfere ambientaliste, sia in quelle economiche e politiche. La gravità del disastro cambia dalla prospettiva da cui lo si guarda,” dice Martin Preston, un esperto d’inquinamento marino e scienze della terra del Università di Liverpool. “Se sotto l’aspetto economico l’impatto è stato evidentemente molto grande, sotto quello ambientale ancora non possiamo saperlo. Uno dei contrasti tra l’ambiente e la politica risiede nel fatto che i politici devono sempre mostrare di star facendo qualcosa, anche se a volte non fare nulla è la scelta migliore.”

Come ricorda Boxell, il greggio che esce dal pozzo della BP è del tipo leggero, quindi facilmente “spezzabile” in parti più piccole dai batteri marini, che ne consentirebbero così l’evaporazione una volta arrivato in superificie. Invece, dicono i biologi, le aggressive operazioni di pulizia della BP — in particolare l’uso di sostanze chimiche usate per disperdere il petrolio, già al centro di polemiche — avrebbero peggiorato la situazione, rendendo il compito dei batteri più difficile e quindi il petrolio più dannoso.

Boxell elenca le tre regole d’oro delle perdite di petrolio:

“La prima è innanzitutto evitare la perdita; la seconda è di cercare di raccoglierlo il più velocemente possibile; e la terza, in caso la perdita sia in mare aperto, è di lasciarla in pace.”

Secondo gli scienziati riuniti a Londra, il disastro del Golfo non può ancora essere definito un disastro ambientale. Le uniche aeree davvero a rischio sarebbero le coste della Louisiana, dove l’ecosistema è più delicato e la ripulitura “naturale” del petrolio più difficile. La BP avrebbe quindi sì dovuto cercare di tenere il petrolio lontano dalle spiagge, ma, anche in questo caso, con metodi “più delicati”.