Google ha la polizia alle calcagna

Il numero di Stati che vuole vederci chiaro nella raccolta di dati sulle reti WiFi da parte di Google è sempre più nutrito

Associazioni per la privacy e autorità di molti paesi non danno tregua ai responsabili di Google, accusati di aver sottratto dati riservati degli utenti e di averne messo a repentaglio la privacy. Principale oggetto del contendere è Street View, il servizio del motore di ricerca per avere una vista a livello del terreno delle strade sulle mappe online.

Da anni le auto di Google scorrazzano per le strade del mondo fotografando ogni angolo di strada, ogni piazza e qualsiasi altra cosa che incontrano durante il viaggio. Ogni scatto viene associato alla posizione geografica in cui si trova l’auto in quel momento e poi tutto finisce in una mappa e diventa Street View. Ma le automobili di Google non si limitano a scattare foto all’impazzata: i loro sistemi raccolgono anche alcune informazioni delle migliaia di reti WiFi pubbliche e private che ormai affollano l’etere. Grazie a quei dati il motore di ricerca può fornire informazioni sulla tua posizione geografica nel momento in cui consulti Google Maps, ma secondo numerose associazioni a tutela della privacy la pratica mette a serio rischio la riservatezza dei dati personali.

Mentre scandagliano le reti WiFi, le automobili di Google raccolgono tre informazioni: alcuni frammenti di dati trasmessi via wireless e non criptati, il nome della rete che stanno analizzando e un codice univoco (si chiama MAC) che identifica l’apparecchio che invia il segnale WiFi (si chiama router). Quelli di Google sostengono che questo tipo di informazioni non possono essere utilizzate in alcun modo per tenere traccia delle attività, dei gusti e delle preferenze degli utenti, ma i dubbi in proposito non mancano.

Secondo i detrattori, il MAC potrebbe essere utilizzato per tenere traccia di alcune attività di chi si collega a una rete WiFi. Il codice predefinito è unico per ogni dispositivo wireless, dunque Google nel corso degli anni può aver rilevato lo spostamento di un router da un luogo a un altro. Niente di così grave, lo spostamento di una rete WiFi non dà molte indicazioni sulla vita di un singolo utente, ma per le associazioni a tutela della privacy la faccenda si fa seria su larga scala e sulle decine di milioni di reti senza fili catalogate da Google. Il timore è che incrociando una così grande quantità di dati si possano ricostruire molte informazioni sugli utenti, del tutto inconsapevoli.

Su segnalazione di numerose associazioni a tutela della privacy, paesi come la Germania, la Spagna, la Francia, l’Australia e la Nuova Zelanda hanno avviato una serie di indagini per verificare la fondatezza delle accuse legate alla raccolta non autorizzata di informazioni sulle reti WiFi pubbliche e private. Dopo l’intervento di Privacy International, la Metropolitan Police di Londra ha deciso di avviare una prima inchiesta che potrebbe richiedere una decina di giorni per essere portata a termine. Il caso potrebbe essere successivamente passato ad altre forze di polizia per approfondimenti.

Ma non è solamente l’Europa a occuparsi del problema. Negli Stati Uniti il procuratore generale del Connecticut, Richard Blumenthal, ha organizzato un incontro cui hanno partecipato i rappresentanti di 30 Stati per decidere una linea comune da tenere nei confronti di Google. Blumenthal sostiene che i cittadini hanno il diritto di sapere quali informazioni personali siano state raccolte e per farne quale uso. Il motore di ricerca ha già offerto la propria collaborazione, ma secondo il procuratore le risposte ottenute sono state fino a ora evasive e poco chiare. La scorsa settimana, Lisa Madigan, il procuratore generale dello Stato dell’Illinois, aveva già avviato una prima indagine per verificare il comportamento della società e la presenza di eventuali illeciti verso i quali procedere.

Nonostante il crescente numero di Stati che hanno deciso di avviare indagini e verifiche, i responsabili di Google sono certi di non aver violato in alcun modo la legge con le loro automobili in giro per fotografare il mondo. Il motore di ricerca ha riconosciuto di aver raccolto più informazioni del dovuto, ma per errore, e che quegli stessi dati non violano comunque la privacy degli utenti. La polemica si trascina ormai da settimane e già a metà maggio Google aveva rilasciato un comunicato sul proprio blog ripromettendosi di rivedere il sistema di raccolta delle informazioni utilizzato sulle automobili di Street View:

Non appena ci siamo resi conto del problema, abbiamo fermato le auto di Street View e abbiamo isolato i dati sulla nostra rete, che è stata poi disconnessa per renderla inaccessibile. […] Inoltre, considerate le preoccupazioni, abbiamo deciso di non raccogliere più le informazioni sui dati delle reti WiFi. Questo incidente fotografa comunque la situazione delle attuali reti WiFi aperte e non protette da password.