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  • Sabato 19 giugno 2010

Sì, ma il petrolio?

Negli ultimi giorni la discussione sul disastro si è spostata dall'oceano alle stanze del governo e della BP

Negli ultimi giorni è successo un po’ di tutto nelle sfere politiche statunitensi e in quelle amministrative della BP: Obama ha tenuto il suo primo discorso dallo Studio Ovale per tranquillizzare gli americani sulla situazione; la società britannica responsabile del disastro ha stanziato un fondo da 20 miliardi di dollari per chiunque sia stato danneggiato dalla perdita di petrolio; il presidente svedese della BP ha scatenato le polemiche definendo “small people” le persone a cui è rivolto il fondo, scusandosene in seguito; l’amministratore delegato Tony Hayward ha parlato al Congresso degli Stati Uniti; a qualche repubblicano è sfuggita un po’ la mano: c’è chi ha dichiarato che Obama dovrebbe chiedere scusa alla BP per averla trattata con troppa durezza, c’è chi ha dichiarato che l’attuale capo della società dovrebbe invece fare harakiri e suicidarsi. Ieri sera poi sono arrivate le accuse – diffuse dal Washington Post – che il principale partner della BP, la Anadarko Petroleum, ha mosso contro la società, incolpandola di aver preso “decisioni rischiose” che hanno causato un “disastro che poteva essere evitato”.

In tutto questo, si sta un po’ defilando l’attenzione per un problema non secondario: il petrolio che sta continuando a uscire nel Golfo del Messico. Il blog della sezione scientifica di Msnbc, Cosmic Log, fa un buon punto della situazione.

Il contenimento
La BP sta continuando con l’operazione di raccolta di parte del petrolio che aveva iniziato un paio di settimane fa. Attraverso una cappa di contenimento sulla falla, il petrolio viene incanalato in una serie di tubi collegati a una nave, la Discover Enterprise, e a una piattaforma, la Q4000, che hanno il compito di stivarlo o, come vedremo, bruciarlo. A oggi il sistema riesce a salvare dall’oceano una buona parte del petrolio che fuoriesce, circa 25.000 barili di petrolio in totale: il problema è che le capacità massime della Discover e della Q4000 sono rispettivamente di 18.000 e 10.000 barili, e quindi la quantità di greggio che può essere raccolto è limitata. Entro una decina di giorni dovrebbero però arrivare altre navi, capitanate dalla Helix Producer, in grado di raccogliere tra i 20 e i 25.000 barili di petrolio al giorno. Per metà luglio, invece, la struttura di contenimento del pozzo dovrebbe venire sostituita con un’altra, costruita per resistere alla stagione degli uragani.

Il petrolio bruciato
Dato che, come detto, la nave e la piattaforma non sono in grado di raccogliere tutto il petrolio disperso, una parte di esso sta venendo bruciato in superficie. Comic Log si interroga però sulle conseguenze ambientali che questo sistema potrebbe star causando: la BP ha spiegato e dato prova che i carbonizzatori che stanno usando siano più “verdi” e rispettosi dell’ambiente di quelli usati tradizionalmente, ma è indubbio che il sistema porti comunque alla dispersione di fumi non tradizionali, composti da diossido di zolfo, ossido di diazoto e altri gas che contribuiscono all’effetto serra. La scelta, che sta letteralmente mandando in fumo 700.000 dollari di petrolio al giorno, ha quindi prevedibilmente scatenato l’ira degli ambientalisti.

Nonostante questi accorgimenti, una parte del petrolio sta continuando a fuoriuscire nel Golfo. Il contimento e la bruciatura del petrolio sono infatti solo metodi temporanei per alleviare la perdita, in attesa che venga terminato il progetto più ambizioso della BP, la costruzione di altri due pozzi ai lati di quello incriminato.


I pozzi di sollievo
Sono ormai settimane che la BP sta scavando due pozzi intorno a Macondo (questo il nome del pozzo originale in cui è avvenuta l’esplosione, grottescamente omonimo alla città maledetta del romanzo Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez), che dovrebbero essere terminati per agosto. Il progetto è quello di far uscire il petrolio anche dagli altri pozzi diminuendo così la pressione su quello principale, in modo da poter tentare un’operazione simile a quella fallita il mese scorso, chiamata Top Kill, che prevedeva il pompaggio di fango di perforazione (sostanze chimiche vischiose unite a rifiuti vari) nella falla, per fermarne il flusso e riuscire poi a cementarla.

Questa è la situazione che dovremmo trovare a fine luglio, secondo i piani della BP: al centro le due navi più la piattaforma a contenere il petrolio e ai lati i due pozzi di sollievo. Qua il link al documento (pdf) che mostra l’immagine in formato grande.

I danni
Ovviamente, il petrolio finora disperso e quello che continua a disperdersi stanno creando danni sempre più gravi, tanto all’economia della zona (sia quella basata sul turismo, sia quella basata sull’industria ittica), tanto alla fauna e alla flora marina. Finora 639 uccelli sono stati ritrovati ricoperti di petrolio, di cui solo 42 sono stati rimessi in libertà; più di 100 tartarughe, di cui solo tre sono già tornate in mare. E diverse associazioni ambientaliste continuano a sostenere che i danni agli animali sono irreversibili, consigliandone l’uccisione. La conta degli animali coinvolti è tra l’altro solo una piccola parte del disastro, che come ipotizzato dalla Guardia Marina avrà conseguenze sulla zona per anni.

Il petrolio continua ad arrivare sulle coste, non tutte coperte dal lavoro degli uomini della BP, incaricata di ripurirle. Citizen Tube raccoglie diversi video che mostrano gli effetti del greggio, tanto sulle spiagge quanto sugli animali.

La spiaggia dell’area naturale protetta di Bon Secour, in Alabama

La spiaggia dell’isola Okaloosa, in Florida

Un granchio colpito dal petrolio, nell’area naturale protetta di Bon Secour, in Alabama