Il caos del tempo pieno

Bambini esclusi dalla didattica completa a centinaia in ogni città d'Italia

© Marco Merlini / LaPresse
25-02-2010 Roma
Politica
Palazzo Chigi, conferenza stampa per la firma della dichiarazione sulla programmazione in Europa della ricerca applicata al patrimonio culturale
Nella foto il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini

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Rome, 02-25-2010
Politic
Chigi Palace, government building, press conference for the sign of the statement about programming in Europe of research applied to cultural heritage
In the photo Education minister, Mariastella Gelmini
© Marco Merlini / LaPresse 25-02-2010 Roma Politica Palazzo Chigi, conferenza stampa per la firma della dichiarazione sulla programmazione in Europa della ricerca applicata al patrimonio culturale Nella foto il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini © Marco Merlini / LaPresse Rome, 02-25-2010 Politic Chigi Palace, government building, press conference for the sign of the statement about programming in Europe of research applied to cultural heritage In the photo Education minister, Mariastella Gelmini

Vediamo di parlare della scuola per tutti e con tutti, visto che è un pezzo essenziale dei destini di questo paese che sembra discusso solo da chi ci lavora o chi ha dei figli a scuola, per il tempo che li ha. Uno degli elementi di cui si discute di più rispetto ai tagli previsti dal ministro Gelmini e a quelli aggiunti dalla manovra finanziaria è il tempo pieno nelle scuole elementari.

Il tempo pieno non è andare a scuola anche il pomeriggio. Non è un’aggiunta di ore. È un progetto didattico che ha una lunga storia e consolidati risultati, che estende a un numero maggiore di ore scolastiche le necessità di apprendimento dei bambini attraverso attività e insegnamenti strutturati su questo numero di ore. E che fa assumere alla scuola la responsabilità di una formazione più collettiva dei bambini, più basata sul rapporto con gli altri, piuttosto che sullo studio individuale a casa, ritenendo che per molti bambini i tempi siano troppo precoci per simili impegni e le occasioni di crescita comunitaria più proficue. Le famiglie italiane, in larghissima maggioranza lo hanno scelto e apprezzato, ancora di più nei moltissimi casi in cui la capacità della famiglia di assumersi parti cospicue dell’insegnamento e dello studio è più limitata.

Con i tagli in ballo, il tempo pieno è ormai pesantemente minacciato in tutta Italia. La mancanza di fondi per gli insegnanti impedisce in molti casi di poter offrire il tempo pieno a tutte la famiglie che ne fanno richiesta, e in altri di strutturare il tempo pieno con l’efficacia didattica che dovrebbe avere: riducendo o eliminando le ore di compresenza dei due insegnanti e riducendosi alla copertura del tetto delle 40 ore previste attraverso un continuo gioco del 15 tra i maestri a disposizione della scuola.

Il ministro Gelmini ha contestato la tesi della riduzione del tempo pieno rispetto alle richieste, sostenendo che le classi a tempo pieno sarebbero addirittura aumentate. Le risponde oggi Flavia Amabile sulla Stampa.

Sarà anche vero ma allora c’è quantomeno un problema nell’incontro tra domanda e offerta: il tempo pieno in più è arrivato proprio dove non lo chiedono i genitori. Altrimenti non ci sarebbe una valanga di proteste da tutt’Italia con cifre da bollettino di guerra. Sempre i sindacati parlano di migliaia e migliaia di bambini che non potranno avere diritto al tempo pieno dal prossimo settembre.  A Modena e provincia sono circa 222 i bambini esclusi dal tempo pieno, a Bologna e provincia circa 1600, in Veneto circa 5 mila, a Milano e provincia circa 3.500, a Torino e provincia siamo intorno ai 1800, a Roma e provincia sui 2200, in Toscana 4 mila, a Trapani e provincia 690.

Quadrare il cerchio di fronte al ricatto del governo è impossibile. Se non si assumono insegnanti mentre i vecchi vanno in pensione, se non si confermano le sostituzioni, gli insegnanti mancano e il tempo pieno non si fa o si fa male. In alcune città i comuni stanno pensando di chiedere dei contributi aggiuntivi alle famiglie per poter fare fronte alla situazione: ma come si chiede ancora Amabile, questa è la fine della scuola pubblica. Se il servizio viene offerto a pagamento a chi se lo può permettere, qual è la differenza dalla scuola privata?

Un’altra degradante soluzione è quella proposta da una scuola di Milano.

A Milano una scuola primaria ha 33 iscrizioni per il tempo pieno e 10 per il tempo normale. Per il momento sono state autorizzate una classe a tempo pieno e una a tempo normale. Il Consiglio di istituto ha deciso di formare la classe a tempo pieno con 25 alunni, il massimo consentito dalle norme per la sicurezza, e quella a tempo normale con i restanti 18. Sembra un problema da scuola primaria, appunto, ma ora 8 dei bambini del tempo pieno dovranno accontentarsi del tempo normale. Chi?
Il consiglio di istituto ha affidato a tutti i genitori una tabella da compilare in modo da assegnare un punteggio a ciascun bambino e stilare poi la graduatoria. Nella tabella sono contenuti i criteri «variabili di valenza sociale». Si va dai 10 punti degli alunni con certificazioni disabili o invalidità a 5 punti per le famiglie con un solo genitore, e via scendendo fino a 2 punti pe run fratello o una sorella che frequentano lo stesso istituto o 1 punto soltanto assegnato all’alunno che «appartiene al bacino di utenza», o agli altri figli fino ai 14 anni. A parità di punteggio ha precedenza il bambino più anziano.

Intanto, nella sua ammirevole superproduzione sui problemi della scuola, Flavia Amabile segnala ancora sulla Stampa di oggi un’altra questione in discussione a proposito dei costi della scuola, quella dei “distacchi sindacali”:

Alcuni professori, invece di fare lezione in classe, vengono inviati a svolgere un lavoro sindacale. Al loro posto nelle aule va un supplente. Tutto questo ha un costo, ovviamente.

Naturalmente i sindacati contestano la richiesta di tagli su queste spese. Ma se si apre la discussione sui ruoli scolastici onerosi per lo stato in momenti di difficoltà economiche e necessità di stabilire delle priorità, forse sarebbe il momento di ridiscutere senza integralismi ideologici i costi delle ore di religione nella scuola. In un momento in cui mancano i fondi per la didattica indispensabile del tempo pieno, il sistema scolastico italiano continua ad accollarsi ben due ore di religione settimanali alla scuola materna ed elementare, e una alle medie e superiori. Il costo di questo insegnamento – che ha stipendi superiori a quelli della didattica principale – si aggira intorno agli 800 milioni di euro (più di un miliardo, secondo altri conti): e per permettere a chi non lo segue un insegnamento alternativo vengono allocati alla stessa ora insegnanti e costi che lo rendono un onere aggiuntivo. Di 800 milioni annui, appunto.

Sarà il caso di cominciare a parlarne.