Le mille luci del varietà dei Divine Comedy

Esce un nuovo disco della band di Neil Hannon, pop barocco ormai ventennale: stucchevole secondo alcuni, non per il Post

I Divine Comedy sono una di quelle band che stanno tutte nella testa di un uomo, e quell’uomo in questo caso si chiama Neil Hannon: e “sono un gruppo unico nel panorama musicale”, come direbbe un ufficio stampa, malgrado esistano da vent’anni. Hannon si è inventato un suono pop guarnito di orchestrazioni da gran varietà televisivi degli anni Settanta con Mina e Alberto Lupo, con archi e fiati, molta barocchitudine e nessuna simpatia per il minimalismo; una via di mezzo tra Michael Nyman e l’orchestra del teatro Ariston. E su tutto questo, canzonette. Una sorta di Smiths più allegri. O “Easy listening per inguaribili dandy”, come dice il dizionario del pop Baldini e Castoldi.

A lungo sono stati la band creativa-colta-ironica per cui vanno matti i critici musicali, che a un certo punto ha qualche successo, ma non riesce a ripeterlo e allora anche i critici la trattano da bollita. Hannon è finito per passare come un presuntuoso fallito, fuorché agli occhi di un devoto zoccolo di fans. La loro canzone più famosa e più spiritosa si chiamava “National Express”. Parlava dei passeggeri del bus e conteneva l’equivalente britannico dell’espressione “ha un culo che fa provincia” (“your arse is the size of a small country”).  Sembrava la sigla di uno show tipo “Milleluci”, o Broadway in pieno splendore. Non si può cantarla e basta, come minimo bisogna attraversare le stanze a grandi falcate, mulinando le braccia e agitando il cilindro.

Adesso i Divine Comedy hanno pubblicato un nuovo disco – Bang goes the Knighthood – e la curva del giudizio dei critici è di nuovo in risalita, come da ciclo. Secondo la BBC, il disco non raggiunge la sufficienza, e sono assolte solo le enfatiche melodie sentimentali, e stroncati i divertissement. Il Guardian e il Financial Times fanno l’identica distinzione, ma tirando le somme salvano il disco. E l’Independent lo promuove con poche riserve.

In Italia, SentireAscoltare è più indulgente (e il Post si associa):

Neil Hannon sembra aver trovato un equilibrio tra il crooning e il pop, fusi in una visione musicale personale. Ma in Bang Goes The Knighthood non tutto è fuoco. Alcuni brani entreranno di diritto tra i suoi migliori, altri (Can You Stand Upon One Leg, che pare un b-side del musical riciclato alla bisogna, e il duetto in salsa Belle And Sebastian con Cathey Davey in Island Life) sono da intendersi come inciampi in un percorso comunque sopra la media, per la classe e l’esperienza del suo autore. Rimane un gradino sotto i suoi migliori lavori, ma gli episodi migliori hanno le potenzialità per crescere sulla distanza. In fin dei conti, cosa vogliamo ancora: una manciata di grandi canzoni non ci basta più?