Arrestato l’uomo che intercettò Fassino (“Abbiamo una banca?”)

Favata arrestato per estorsione: per anni avrebbe ricattato il suo capo minacciando di rivelare il loro incontro con Berlusconi

© Marco Merlini / LaPresse
23-03-2007 Roma
Politica
Senato - celebrazione dei 50 anni della firma dei Trattati di Roma
Nella foto Piero Fassino e Silvio Berlusconi
© Marco Merlini / LaPresse 23-03-2007 Roma Politica Senato - celebrazione dei 50 anni della firma dei Trattati di Roma Nella foto Piero Fassino e Silvio Berlusconi

Ieri Fabrizio Favata è stato arrestato per estorsione. La notizia è questa, e probabilmente messa così vi dirà poco, quindi occorre fare un piccolo ripasso delle puntate precedenti.

Fabrizio Favata è – era – un imprenditore, lavorava in un’azienda che si chiama RCS (niente a che vedere col gruppo editoriale) il cui titolare si chiama Roberto Raffaelli. La società realizzava le intercettazioni per conto della procura di Milano, e un giorno – dice Favata – Raffaelli gli fa ascoltare un nastro con la voce di Piero Fassino. La dichiarazione è quella celebre sul caso Unipol: “Ma abbiamo una banca?”. Favata ha raccontato – alla Digos e ai giornali, prima l’Unità – di aver portato il nastro a casa di Berlusconi insieme a Raffaelli, e di averglielo consegnato la vigilia di Natale del 2005. Sperava di ottenere una ricompensa, un favore in un grosso appalto. Berlusconi – dice Favata – ascolta il nastro, sgrana gli occhi e dice: “Grazie, la mia famiglia vi sarà grata in eterno”. Pochi giorni dopo il Giornale pubblica il testo dell’intercettazione.

Torniamo alla notizia, quindi. Il gip Bruno Giordano ha arrestato Favata con l’accusa di estorsione a Raffaelli: Favata avrebbe più volte chiesto a Raffaelli denaro e altri favori, dietro la minaccia della diffusione e del racconto alla stampa di quanto avvenuto a casa Berlusconi la vigilia di Natale del 2005. Da qui l’accusa di estorsione ma anche, si legge nelle carte della procura, l’acquisizione di “prove convincenti del fatto che sia effettivamente avvenuto l’incontro della vigilia di Natale nella casa di Arcore del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi tra quest’ultimo, Paolo Berlusconi, Favata e Raffaelli”.

La polizia non è in grado di accertare se durante l’incontro sia effettivamente avvenuto il regalo del nastro, e per motivare l’arresto di Favata a loro “basta evidenziare come [la minaccia] appaia verosimile agli occhi di Raffaelli, così da giustificarne gli ingenti pagamenti a Favata”. Raffaelli infatti avrebbe versato a Favata quaranta mila euro al mese per quattordici mesi in cambio del suo silenzio. Il Corriere della Sera ricostruisce quindi le due versioni.

Il regalo di Arcore è prospettato al pm Massimo Meroni da un amico tanto di Favata quanto di Raffaelli, e cioè Eugenio Petessi, sulla scorta delle asserite confidenze di entrambi: «Mi dissero che erano stati ricevuti da Silvio Berlusconi, molto stanco, seduto sul divano» vicino «un pino bianco secco», e «stava con il capo reclinato all’indietro e gli occhi socchiusi, aveva poco a tempo, di lì a poco avrebbe dovuto assistere alla messa di don Verzè. Al Presidente riferirono della conversazione intercettata o forse gliela fecero sentire e lui disse che poteva essere interessante ». Subito dopo, Favata disse che «aveva consegnato » l’audio «a Paolo Berlusconi, il quale» (lui, non Silvio) «gli aveva detto che per quel regalo gli sarebbe stato riconoscente». Il 27, 29, 30, 31 dicembre 2005, e il 2 gennaio 2006 quelle intercettazioni ancora segrete vennero pubblicate da Il Giornale.

Raffaelli ammette l’incontro ad Arcore ma lo riconduce solo ad auguri natalizi e nega il regalo dell’audio. E quanto ai soldi dati a Favata attraverso fatture false fatte insieme a Petessi, sostiene che erano provvigioni a Petessi per i contatti che questi gli aveva procurato con persone alle quali esporre i propri progetti nel settore: Paolo Berlusconi che lo aveva fatto incontrare con un consigliere del premier, Valentino Valentini; il senatore pdl Romano Comincioli; Ghedini; il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo; il direttore dell’informatica ministeriale Stefano Aprile; e all’epoca del governo Prodi il capodipartimento ministeriale Claudio Castelli (oggi vicecapo dei gip milanesi); e una dirigente Udeur per tentare l’incontro con il ministro Mastella.