Mario Pirani in difesa dei baroni universitari

Il columnist di Repubblica contesta la proposta del PD di pensionare i professori a 65 anni

© ROBERTO MONALDO/LAPRESSE
28-02-2003 ROMA
INTERNI
NELLA FOTO MARIO PIRANI (GIORNALISTA)
© ROBERTO MONALDO/LAPRESSE 28-02-2003 ROMA INTERNI NELLA FOTO MARIO PIRANI (GIORNALISTA)

Nella discussione sulla proposta del Partito Democratico di abbassare l’età pensionabile per i professori universitari a 65 anni, interviene oggi il di solito equilibrato Mario Pirani su Repubblica. È vero che su questo progetto si sono visti finora intervenire a favore tutti quelli sotto i cinquanta e contro tutti quelli sopra i sessanta, ma Pirani suona particolarmente risentito e usa il termine “rottamazione” per descrivere l’eventuale andata in pensione a 65 anni invece che a 72.

Il clou dell´iniziativa è individuabile in una «rottamazione» generale dei professori al compimento dei 65 anni (di contro agli attuali 70). Da qui si dovrebbero ricavare risorse capaci di finanziare un cospicuo turn over a favore dei ricercatori.

Pirani poi giudica addirittura quasi fascista la proposta, assimilandola alle “animosità” di parti della destra.

Forma e contenuto riecheggiano la animosità antiaccademica propria di alcuni ambienti della destra leghista ed ex-An: «mandare a casa i vecchi» e «fare largo ai giovani!», togliere potere ai «baroni», presentati come anziani nullafacenti, attaccati alle loro cattedre, ecc. Il riferimento al potere dei baroni, per chiunque conosca appena la situazione di disintegrazione del sistema e la metamorfosi delle funzioni e dei ruoli tradizionali della ricerca e degli studi all’interno delle Università-Aziende, appare come una farsesca ripresa degli slogan dei movimenti sessantotteschi, e infatti viene oggi adoperato in funzione apertamente populista da parte di associazioni studentesche di sinistra e di destra, (in particolare Azione Giovani).

Ma dopo queste contestazioni evocative e meno sostanziali, Pirani entra nel merito.

Ma colpisce ancora più l’insipienza del ragionamento che supporta la proposta stessa, e che consiste nella convinzione dell’effetto benefico che il cosiddetto «shock generazionale» dovrebbe produrre all´interno di un sistema delicato qual è quello della ricerca e degli alti studi. Secondo la professoressa Carrozza il ricambio di competenze e di esperienze può, anzi deve, realizzarsi attraverso traumatiche liquidazioni di esperienze di gruppi e di scuole, deve prodursi cioè con sostituzioni di stock di personale. Un conteggio approssimativo degli effetti della proposta, se attuata ad oggi, lascerebbe prevedere la sparizione da un giorno all´altro di circa 6.000 professori, di cui 4.000 ordinari, con una falcidie di specializzazioni scientifico-disciplinari difficilmente recuperabile o risanabile, e con un abbassamento di qualità e di prestigio globale della nostra Università. Nel quinquennio successivo si aggiungerebbero altri 5.000 pensionamenti di ordinari e 3.200 di associati, con un ricambio di circa il 50% dei professori titolari di cattedra. Per valutare la poca consapevolezza che sovrintende questa trovata, va ricordato che l´esodo fisiologico, al compimento dei 70 anni, prevede per i prossimi dieci anni l’uscita di 9000 ordinari e 5200 associati e che il bilancio risultante da questo esodo assicura già un ordinato scorrimento di carriera per gli attuali ricercatori, nonché un reclutamento di nuovi ricercatori a tempo determinato.

Quello che è certo e buono, è che del progetto del Partito Democratico, a differenza di molte altre idee che via via appaiono e scompaiono, si sta discutendo con sempre maggiore intensità. Qualcosa da discutere, sul funzionamento dell’università, c’è.