Cose che ho visto a Cannes/10

L'inviato del Post dall'ultimo giorno del festival, quello in cui si vede lo sporco per terra

di Gabriele Niola

Non e’ rimasto praticamente piu’ nessuno. L’ultimo giorno di un Festival e’ come l’ultima ora di una festa, la presenza di poche persone sparute mette in evidenza il macello dello sporco per terra, qualcuno comincia a mettere a posto, altri tentano ancora di divertirsi e fanno l’ultimo assalto disperato alla ragazza che non hanno avuto il coraggio di approcciare risultando ridicoli e molti si sono appartati. Cosi’ e’ qua oggi.

Avendo perso molti film nei giorni scorsi mi trovo a dover recuperare tutto il recuperabile all’ultimo. Esco da un film ed entro in un’altra sala con piccole pause pasti e bagno, tanto non c’e’ piu’ nemmeno la fila.

Il primo film e’ Exodus: Burnt By The Sun 2, di Nikita Mikhalkov. La prima parte di un sequel. Nel 1994 il regista russo vinse diversi premi a Cannes e agli Oscar con Burnt By The Sun, storiona ambientata nella Russia tra le due guerre, ora riprende quei personaggi per fare un altro tipo di racconto. Ispirato da Salvate il soldato Ryan a raccontare quanto e come il fronte orientale sia stato determinante nella vittoria della Seconda Guerra Mondiale e determinato a mostrare come la grande vittoria russa sia stata ottenuta con sacrifici immani, Mikhalkov ha fatto un film-fiume d’altri tempi. Un padre e una figlia che si cercano e si rincorrono attraverso tutta la grande madre Russia durante il conflitto, passando esperienze incredibili e aiutati dalla Provvidenza, come poteva capitare nei kolossal americani degli anni ’40 e ’50. Un film che solo un occhio poco allenato giudicherebbe girato all’americana per ritmo, azione e sentimentalismo mentre invece ha tutto il buono del cinema russo commerciale con lo sguardo di Mikhalkov. Bellissimo.

Uscito da Exodus vado a farmi un cappuccino da un ambulante che lo fa bene, all’italiana e ad un prezzo ridicolo (cioe’ normale). E lo scopro l’ultimo giorno.

Bevuto il cappuccino rientro subito in sala per vedere Hors La Loi, il film perso ieri per il quale i quattro vecchi paesani protestavano. Si tratta di un film che raccontando una famiglia racconta un periodo storico, come si conviene in questi casi. Il cuore della questione e’ la difficile strada che ha portato l’Algeria all’indipendenza. Si parla di FLN, resistenza e azioni di violenta rivoluzione. Ci sono tre fratelli che corrispondono a tre livelli diverso di coinvolgimento nella lotta armata per l’indipendenza dell’Algeria (molto, poco e per niente). Come e’ prevedibile i tre si troveranno anche uno contro l’altro. I francesi sono dipinti malissimo senza il minimo beneficio dell’avere motivazioni che non fossero la cattiveria innata. Ad ogni modo niente di nuovo sotto il sole, niente di esaltante e (a quanto si puo’ vedere con occhio non coinvolto nei fatti) niente di cui protestare se avete meno di 70 anni.

Uscito da Hors La Loi vado dal medesimo ambulante a farmi un panino e mi rimetto nell’esigua per quello che potrebbe facilmente diventare il caso del Festival. Non si capisce davvero chi possa vincere, il toto-vincitori lo fanno tutti ma senza accordo, ognuno dice la sua. Tuttavia dovesse vincere questo film ci sarebbe davvero di che ridere.

Si tratta di (traduco direttamente in italiano per chi non conoscesse il tailandese) Zio Boonme che poteva vedere le sue vite passate di (Ctrl+C) Apichatpong Weerasethakul (Ctrl+V). Se fossi uno di quei critici che fanno vanto del proprio approccio anti-intellettuale direi che e’ “cinema punitivo”, se fossi invece uno di quei critici che fanno dell’intellettualismo la propria bandiera direi che e’ “un piccolo gioiello di meditazione”. In realta’ e’ un film interessante ma difficilissimo da seguire (non lo consiglierei a nessuno alla cui amicizia io tenga), che si pone obiettivi molto alti e adotta una forma di racconto molto lontana dagli standard per parlare dei punti di fusione tra l’umano e il naturale, tra le bestie, gli uomini e il mondo in cui vivono, senza fare differenza tra fisico e metafisico. Un film che procede per stimoli e sensazioni, che non e’ proprio la cosa piu’ semplice da fare e soprattutto da guardare.

Durante la proiezione (qui a Cannes! Nel tempio del cinema autoriale!) piu’ e piu’ persone si sono alzate e se ne sono andate, con ritmo costante e lungo tutto il film. Come un rubinetto che perde. Che poi per la maggior parte del tempo c’era silenzio quindi si sentivano tutti i passi infastiditi che si allontavano e gli anziani che borbottavano uscendo.

Anche raccontare la trama non e’ facilissimo. C’e’ una famiglia nella parte rurale della Tailandia riunita attorno ad un uomo che sta morendo per un problema al rene. Arriva un fantasma, poi un figlio perduto che e’ diventato un uomo scimmia, si parla molto a tavola ma soprattutto si sta fermi in silenzio, poi qualcuno fa una spedizione in una grotta e alla fine due donne sono in una stanza d’hotel con un monaco che si deve fare una doccia. Nell’ultima scena (SPOILER!!!) da che le due donne e il monaco guardano la televisione, una di queste e il monaco si sdoppiano (quindi ci sono 5 persone nella stanza), i loro doppi escono e vanno in un ristorante. Secondo me era Boonme reincarnato. Fine.

Se vince dopodomani compro tutti i quotidiani italiani e mi faccio una serie lunghissima di risate.

In serata dalle 21 in poi sono andato in una birreria tedesca di Juan Les Pins (piccolo centro vicino Cannes dove sta l’appartamento che ho affittato) a cantare Deutschland, Deutschland über alles. Nel tragitto scopro che la parte che ho sempre visto della cittadina, quella che sembra Gomorra in un giorno di pioggia e di regolamento di conti (strade semi deserte, case con finestre sbarrate, gente che non parla, locali a serranda abbassata e in giro solo bambini violenti) in realta’ non e’ rappresentativa di tutto il luogo. Venti metri nella direzione opposta a quella che ho sempre fatto e scopro locali, vita notturna e ristoranti. L’ultimo giorno.