Cannes: cosa ho visto ieri

L'inviato del Post a Cannes relaziona sui film proiettati giovedì

di Gabriele Niola

DRAQUILA – DI SABINA GUZZANTI

Anche se non c’era il ministro Bondi (“Io comunque non l’avevo invitato” ha precisato la regista) è partita l’avventura a Cannes di Draquila. Presentato in una sezione minore, dunque non in concorso, e proiettato in una sala di media grandezza, il documentario di Sabina Guzzanti è piaciuto alla stampa estera nello stesso modo e con il medesimo divertito distacco di chi pensa di conoscere già una situazione più complessa di quel che sembra.

Il film è un documentario che non ha nulla di cinematografico ma che fa una sintesi ampia, interessante e ben raccontata dei fatti che narra. Sabina Guzzanti si mette da parte, non è quasi mai inquadrata e dà molto spazio ai belusconiani, ovvero gli aquilani soddisfatti del lavoro del premier. E questa è la parte migliore del documentario: raccontare il consenso nel suo formarsi.

Forte spiegamento di tweet dopo la proiezione, in tutte le lingue. Il facile antiberlusconismo in rete non è una prerogativa solo italiana ma una malattia contagiosa.

O ESTRANHO CASO DE ANGELICA – DI MANOEL DE OLIVEIRA

Arrivato alla veneranda età di 102 anni Manoel de Oliveira è il più vecchio regista in attività. La sua media è di circa un film l’anno, noncurante di un livello qualitativo non più all’altezza dei fasti passati.

Quando interrogato sul tema Mario Monicelli è solito scherzare dicendo che non ha la minima intenzione di morire prima di de Oliveira e lasciargli il primato.

Non ho assistito alla proiezione del suo film in concorso, non se ne è parlato gran bene, ma guardando sui megaschermi la registrazione della conferenza stampa ho visto Enrico Ghezzi fare una domanda che, in ossequio al proprio personaggio, era lunga e poco comprensibile a cui il venerando De Oliveira ha risposto con ugual ermetismo. Ghezzi ha parlato in francese, l’interprete ha tradotto in portoghese, de Oliveira ha parlato in portoghese e di nuovo la risposta è stata data in francese. Alla fine ogni giornalista ha un’opinione diversa su cosa si siano detti.

WALL STREET 2, IL DENARO NON DORME MAI – DI OLIVER STONE

Arriva fuori concorso e dichiara “E’ inutile competere, noi registi non siamo in gara ma ci rubiamo idee e soluzioni a vicenda, prendiamo da tutto anche dai film brutti” e forse in questa categoria dovrebbe mettere il suo film.

Lungo, noioso e totalmente privo di carisma Wall Street 2 mette in scena la crisi del 2008 aggiungendo un Gordon Gekko privo di ogni appeal, non per la vecchiaia ma per il moralismo di fondo. Shia LaBeouf è totalmente incolore ma sempre meglio del suo predecessore al fianco di Gekko: Charlie Sheen, protagonista in questo di uno dei cammei più stupidi di sempre.

Nel 1987 Stewart Copeland musicava un film tecnicamente fortissimo, in grado di leggere la modernità con arroganza e forza, oggi David Byrne e Brian Eno musicano un polpettone familiare scritto tenendo sulla scrivania la stampa quotidiana e girato senza la minima audacia. “Greed is good”

HOUSEMAID – DI IM SANGSOO

Alle diverse proiezioni che sono state fatte di questo film coreano mi è stato impedito di entrare. Una volta posti terminati, una volta traffico imprevisto che mi ha fatto tardare e una volta sovrapposizione con altri film.

Va a finire che mi vince il festival…

RIZHAO CHONGQING – DI WANG XIAOSHUAI

Il cinema cinese non è più quello devastante degli anni ’90 e si sente. La scelta di mettere la proiezione di Rizhao Chongqing alle 8.30 del mattino poi non ha di certo aiutato.

Durante questo dramma intimista incentrato su un padre che cerca di ricostruire a posteriori la vita e i conflitti interiori del figlio di cui non si è mai occupato (dopo che quest’ultimo è morto tentando una rapina con un coltello in un supermercato), più di una volta mi sono trovato a “riposare gli occhi”. Dato l’orario non avevo fatto in tempo a prendere un caffè, e questa è la mia scusa, il regista quale ha?

TOURNEE – DI MATHIEU AMALRIC

Lui è forse il migliore tra i nuovi attori francesi, è stato in quasi tutti i film di Desplechin, ha fatto furore in patria e dall’America l’hanno chiamato per fare il cattivo dell’ultimo 007 (Quantum of solace).

A Cannes arriva con un film da regista (sebbene non sia l’esordio) di cui è anche protagonista e con il quale, pur vestendo i panni del director, dimostra di essere un grande attore. Amalric padroneggia una tecnica sopraffina, utilizza il proprio corpo come pochi sanno fare e recita con le espressioni tanto quanto con i movimenti: è stato immobile in Lo scafandro e la farfalla e mobilissimo in tante altre pellicole. Ora ritaglia per sé un impresario squattrinato dalla fisicità gracile e viscida che ha del fenomenale e per raccontare la tournee di una compagnia di new bourlesque si circonda di autentiche performer invece che attrici, perchè sa che l’autenticità del corpo fa la differenza.

Il film dovrebbe essere una commedia, ci sono due tre battibecchi intorno alle musichette diffuse negli hotel anche divertenti, e alla fine Amalric gira 10 secondi di cinema d’alta classe, puro, semplice, forte come una roccia e diretto come un colpo di spada, che farebbero gridare al capolavoro se solo tutto il film che li ha preceduti fosse su quello stesso livello.