Ritorno al passato

Tra due settimane l'assemblea del PD sarà chiamata ad approvare alcune modifiche statutarie. L'obiettivo: disinnescare le primarie

Il ritorno al passato del PD potrebbe arricchirsi presto di un altro tassello: l’abolizione – o almeno un serio ridimensionamento – delle elezioni primarie.

Il tema della forma e delle regole del partito – e quindi anche delle primarie – è stato al centro dell’ultimo congresso del PD, con discussioni lunghe e spesso fumose sul loro senso e sui loro effetti, e reciproche accuse di voler snaturare il profilo del PD: chi stava con Bersani accusato di volerle ridimensionare, se non addirittura abbandonare, gli altri accusati di voler cedere all’elettorato la sovranità sulle scelte del partito, rendendo impossibile la costruzione di un’identità forte e omogenea. Tutti comunque negavano – chi apertamente, chi a mezza bocca – di voler toccare un meccanismo che sta molto a cuore agli elettori, ma evidentemente non altrettanto ai dirigenti.

Ora sembra che qualcosa sia sul punto di cambiare, anzi: di ritornare com’era. Ne danno notizia i giornali di oggi – ma sottovoce: un boxino sul Corriere della Sera, e poco altro – e se ne discute più concretamente in rete: l’assemblea nazionale del Partito Democratico, convocata per il 21 e il 22 maggio, sarà chiamata ad approvare alcune modifiche sostanziali allo statuto del partito. L’obiettivo: disinnescare le primarie. Salvatore Vassallo – che è stato presidente della commissione che l’attuale statuto l’ha effettivamente scritto, nei primi mesi del 2008 – descrive così le tre modifiche che saranno proposte all’assemblea.

Primo. La proposizione che segue, rende concretamente vincolante un principio statutario fondamentale: «Vengono in ogni caso selezionati con il metodo delle primarie i candidati alla carica di Sindaco, Presidente di Provincia e Presidente di Regione». Oggi questa frase è contenuta nello Statuto. Secondo la proposta del Comitato verrebbe soppressa.

Secondo. In base alla proposta del Comitato, per scegliere i candidati a Sindaco, Presidente di Provincia, Presidente di Regione, si svolgerebbero di preferenza primarie di coalizione a cui il PD parteciperebbe però con un suo “candidato ufficiale” scelto a maggioranza semplice dall’Assemblea territoriale del livello corrispondente. Dunque, convocate le primarie di coalizione, il partito in quanto tale verrebbe mobilitato a sostegno del suo candidato unico e i singoli iscritti perderebbero la libertà di sostenere chi vogliono loro. Per essere “autorizzati” a sostenere, a titolo individuale, un candidato diverso dovrebbero raccogliere le sottoscrizioni di almeno il 35% dei componenti dell’Assemblea.

Terzo. I pasticci non finiscono qui. Con una ambigua formulazione, il Comitato di Redazione (all’unanimità?) propone di stabilire in statuto che, nel caso in cui non si tengano primarie di coalizione, “la decisione di ricorrere a primarie di partito, oppure di utilizzare un diverso metodo per la scelta dei candidati comuni concordato con le altre forze alleate, deve essere approvata con il voto favorevole dei tre quinti dei componenti dell’Assemblea del livello territoriale corrispondente.” Stando a quanto sta scritto nel testo diffuso dal Presidente della Commissione, quindi, se per una qualunque ragione si dovesse decidere di non fare le primarie di coalizione, servirebbero i tre quinti dell’assemblea per chiedere primarie di partito.

Vassallo non fa mistero di considerare queste proposte una gigantesca marcia indietro, dovessero essere approvate. Tra l’altro, se le cose dovessero andare come in tutte le altre riunioni assembleari del Pd, è probabile che queste proposte saranno votate in fretta e in furia all’ultimo istante, con Bindi o Finocchiaro a leggere i testi a velocità da spot televisivo e la platea ad alzare la mano distrattamente mentre si infila il cappotto e si avvia verso l’uscita. Non un buon modo – o forse, a pensarci meglio, il modo perfetto – per innescare una retromarcia di queste proporzioni.

L’esperienza delle regionali in Puglia avrebbe dovuto insegnare che questo modo di procedere o è inutile o è dannoso. Se il candidato preferito dal gruppo dirigente del PD è anche quello più popolare tra gli elettori della coalizione è inutile. Se invece, come è accaduto in Puglia, la pretesa del “gruppo dirigente” di imporre un “suo candidato” viene clamorosamente smentita dagli elettori si mette a repentaglio la credibilità del partito in quanto tale.

Se l’intento è davvero solo quello di chiarire che prima di percorrere la strada delle primarie di partito si debba esplorare ed eventualmente escludere la soluzione, considerata preferibile, delle primarie di coalizione, non c’è bisogno di tante modifiche. È sufficiente una sola integrazione all’attuale articolo 18 dello Statuto, con la quale si specifichi che: “Le primarie di partito sono indette entro due mesi dalla data di svolgimento delle elezioni, dopo che sia stata verificata l’impossibilità di tenere primarie di coalizione, ai sensi dell’articolo 20”.

Se l’intento è un altro, si dovrebbe avere il coraggio di dirlo in maniera aperta, senza sotterfugi, e in maniera aperta ciascuno dovrebbe prendere posizione. È un invito che vale per i bersaniani di stretta osservanza, ma anche per i dirigenti del PD vicini a Rosy Bindi, ad Enrico Letta, per chi ha sostenuto Franceschini o Ignazio Marino.