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  • Mercoledì 5 maggio 2010

Tomorrow

Tutto quello che dovete sapere sulle elezioni di domani in Gran Bretagna

Images of the three main party leaders are projected onto the building where filming is taking place of Britain's second televised election debate in Bristol, England, Thursday, April 22, 2010. The debate is broadcast live and could be a game-changer for the upcoming General Election on May 6, with candidates dueling over foreign affairs. Images are: Conservative leader David Cameron, right, Liberal Democrat Party leader Nick Clegg, left, and Labour leader Prime Minister Gordon Brown, right. (AP Photo / Johnny Green, pa) ** UNITED KINGDOM OUT NO SALES NO ARCHIVE **
Images of the three main party leaders are projected onto the building where filming is taking place of Britain's second televised election debate in Bristol, England, Thursday, April 22, 2010. The debate is broadcast live and could be a game-changer for the upcoming General Election on May 6, with candidates dueling over foreign affairs. Images are: Conservative leader David Cameron, right, Liberal Democrat Party leader Nick Clegg, left, and Labour leader Prime Minister Gordon Brown, right. (AP Photo / Johnny Green, pa) ** UNITED KINGDOM OUT NO SALES NO ARCHIVE **

Ufficialmente la campagna elettorale britannica è durata appena un mese: da quando la regina ha scelto il 6 maggio come data per le elezioni. Ufficiosamente, però, la campagna elettorale va avanti praticamente da tre anni: almeno da quando Gordon Brown, il 27 giugno 2007, ha sostituito Tony Blair come primo ministro.

E cos’è successo, in questi tre anni?
Di tutto. Davvero. Brown aveva iniziato molto bene: raccolse un Labour in grave difficoltà e a già a settembre i sondaggi gli davano undici punti di vantaggio sui conservatori. Alcune emergenze affrontate brillantemente – un paio di attentati terroristici falliti, le epidemie di afta epizootica, le inondazioni nel nord del paese – avevano permesso a Brown di ritagliarsi un profilo di uomo pragmatico e concreto. La luna di miele si interrompe quando Brown – forte del vantaggio nei sondaggi – si incarta attorno alla possibilità di indire una snap election. In Gran Bretagna il primo ministro può indire in qualsiasi momento le elezioni anticipate e non è raro che la maggioranza approfitti di questo potere per cercare di mettere in difficoltà gli avversari. Gordon Brown era molto indeciso a proposito e tenne per giorni il partito e il paese ad arrovellarsi attorno al dilemma elezioni sì-elezioni no. I conservatori erano piuttosto terrorizzati. Speravano che la fine dell’era Blair li riportasse finalmente al governo – la loro ultima vittoria risale al 1992 – e rischiavano invece di perdere per l’ennesima volta. Lì Cameron cambiò la storia: prese per mano i conservatori e li guidò lungo una spettacolare convention a Blackpool, durante la quale – poco dopo essersi giocato la carta dell’abolizione della tassa di successione – incalzò così Brown:

Siamo tutti bravi a giocare con i numeri dei sondaggi. Perché non ci mettiamo alla prova in un’elezione vera? Sapete cosa vi dico? Io voglio le elezioni adesso.

Risultato: conservatori in rimonta, Labour in flessione, Brown rompe gli indugi e rinuncia alle elezioni anticipate. Da quel momento in poi i sondaggi non vedranno mai più i laburisti davanti ai conservatori.

Tutto qui?
No, ovviamente. Poi arrivarono un’infinità di scandali per il governo. Alcuni giganteschi, come quello dei rimborsi per i parlamentari; altri più piccoli, per modo di dire: dossier confidenziali trafugati, i dati fiscali di venticinque milioni di britannici scomparsi nel nulla, i discorsi di Brown copiati da quelli di Clinton e Gore. Poi, a un certo punto, la più grave crisi economica dal 1929. La banca Northern Rock che fallisce, le file di correntisti sui marciapiedi, il collasso della City.

Quindi, insomma, i conservatori sono i favoriti.
I conservatori sono i favoriti, e non esistono dubbi sul fatto che saranno loro a ricevere il maggior numero di voti. Però questo vuol dire poco, ai fini del risultato finale.

E perché?
Perché si vota col sistema maggioritario su collegi uninominali. Questo vuol dire che la distribuzione geografica dei consensi influisce molto sul numero di seggi ottenuti. Per spiegarla semplice: poniamo che Londra e Birmingham siano due collegi elettorali che eleggono un parlamentare ciascuno. A Londra il Labour prende 51 voti e i Tory 49; a Birmingham i Tory prendono 99 voti e il Labour 1. Il risultato nel voto popolare vedrebbe i conservatori in vantaggio – e che vantaggio – con 148 voti contro 52. Il risultato dei seggi – che è quello che conta, ai fini di avere o no una maggioranza parlamentare – sarebbe pari.

Questo cosa vuol dire?
Vuol dire una cosa, innanzitutto: i numeri dei sondaggi che abbiamo letto in questi giorni non vanno presi alla lettera. Indicano delle tendenze, ci spiegano come si sposta il consenso, ma non sono in grado di dirci come andrà a finire domani.

Fammi un esempio.
Un sondaggio YouGov/Sun su base nazionale uscito oggi vede i Tories in vantaggio col 35 per cento, il Labour dietro col 30 per cento e il Libdem terzi col 24 per cento. Come si tradurrebbe in seggi un simile risultato? 288 seggi ai laburisti, 261 ai conservatori e 72 ai liberaldemocratici.

Quanti voti servono ai conservatori per essere certi di avere una maggioranza?
In realtà, più che guadagnare loro voti, devono sperare che non ne guadagni abbastanza il Labour. Con i laburisti sotto il trenta per cento, infatti, i conservatori dovrebbero essere certi di avere una maggioranza. Ma parliamo sempre di maggioranza relativa, e non di maggioranza assoluta: un fatto più unico che raro nella politica britannica.

Perché si tratta di un fatto raro?
Perché i sistemi elettorali di tipo maggioritario tendono naturalmente a polarizzare il voto, e perché i liberaldemocratici – tradizionalmente la terza forza – non sono mai stati forti come quest’anno, mettendo a rischio l’assetto stesso della politica britannica.

A cosa si deve l’esplosione dei liberaldemocratici?
Al primo dibattito tra i candidati premier, e all’abile gestione del boom di consensi che è arrivato subito dopo. Nick Clegg si è posizionato nel modo migliore tra Brown e Cameron – entrambi, per diverse ragioni, piuttosto logori – ed è riuscito a giocare una partita in discesa: se le elezioni si giocano sul tema del cambiamento, infatti, Clegg è imbattibile, visto che fino a un mese fa pochissimi lo avevano sentito parlare per più di tre minuti. La sua esplosione ha rimesso in gioco tutto, facendo diventare quasi certa l’elezione di un parlamento senza alcuna maggioranza assoluta.

Facciamo un po’ di conti.
I conservatori hanno una maggioranza relativa se stanno abbondantemente sopra il trenta per cento e il Labour rimane sotto. Il Labour ha una maggioranza relativa se arriva almeno a quota trenta, con i conservatori sotto il trentacinque e i libdem poco sopra il venti. Gli unici che possono sperare di ottenere una maggioranza assoluta sono i conservatori, ma hanno bisogno di stare abbondantemente sopra il 35 per cento e sperare che i libdem non gli tolgano alcun marginal seat, i collegi in bilico tra un partito e l’altro. Metteteci pure che il 40 per cento degli elettori pensa di poter cambiare idea subito prima di andare al seggio, e avrete un’idea di quanto incerto sia l’esito del voto.

E se non c’è una maggioranza assoluta?
Può succedere di tutto. I conservatori possono allearsi con alcuni partitini minori per ottenere la maggioranza assoluta. I conservatori possono allearsi con i libdem. Il Labour può allearsi con i libdem, e i libdem possono porre come condizione la defenestrazione di Brown. I conservatori possono formare un governo di minoranza. La regina può dare l’incarico di formare un governo al premier uscente, cioè Brown, e vedere se è in grado di formare una maggioranza. Tutto dipenderà – a quel punto sì – dai rapporti di forza su base nazionale.

Ok, tutto chiaro, più o meno. Quando si vota?
Si vota domani, dalle sette del mattino alle dieci della sera. I risultati ci metteranno un po’ ad arrivare. Liveblogging sul Post.