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  • Giovedì 29 aprile 2010

A che punto è il Belgio

Cosa c'è dietro l'ennesima crisi di governo

di Francesca Barca

Alberto II, re del Belgio, ha accettato lunedì 26 aprile le dimissioni del Governo di Yves Leterme. Si parla di elezioni anticipate a giugno, esattamente quando al Belgio spetta la presidenza di turno dell’Unione europea.

Il tutto è nato da una sigla bizzarra: Bhv. Bruxelles-Hal-Vilvorde è una provincia e una circoscrizione elettorale belga che riunisce 19 municipalità della regione di Bruxelles-capitale e 35 comuni del Brabante fiammingo. La periferia di Bruxelles (18 municipalità) è a maggioranza fiamminga – che significa che il fiammingo è la lingua ufficiale della politica e dell’amministrazione – anche se in sei esistono, visto il grande numero di popolazione francese che in alcuni comuni arriva all’80%, dei regimi di “facilitazione linguistica”. Che significa? Che è concesso ai cittadini francofoni la possibilità di votare, ad esempio, in francese. Il Bhv è, come è evidente, un’eccezione in Belgio, diviso in Vallonia (francofona), Fiandre (fiamminghe) e Bruxelles-capitale (la sola regione ufficialmente bilingue).

La riforma che ha dato questo carattere al Belgio risale al 1963: il potere era stato a lungo nelle mani dei “francofoni”, che si sono però visti crescere intorno le rivendicazioni dei cittadini di lingua fiamminga. Risale quindi a questa data la scelta delle “frontiere linguistiche”. Bruxelles è rimasta in una situazione paradossale perché, purché a maggioranza francofona, si trova, geograficamente, nelle Fiandre. E la sua periferia, sempre su suolo fiammingo, vede un aumento della popolazione francofona che, quindi, sta aumentando i suoi diritti: essere giudicati in francese e votare per i candidati francofoni di Bruxelles, tra le altre cose. In sei municipalità, inoltre, i francofoni sono diventati la maggioranza.

Bhv è da tempo fonte di screzi. Il più famoso il caso di tre sindaci francofoni dei comuni a “facilitazione linguistica” che, eletti nel 2006, non si sono visti validare l’elezione dell’amministrazione fiamminga perché utilizzavano durante la campagna documenti in francese. L’affare ha unito i partiti fiamminghi che hanno chiesto, nel novembre del 2007, la scissione della provincia. Su questa questione, discussa dal Governo il 22 aprile, c’era già un evidente disaccordo tra i tre partiti francofoni della maggioranza e i due fiamminghi. Il partito cristiano-democratico fiammingo di Leterme ha cercato di temporeggiare, ma l’Open VLD ha lasciato la coalizione. E cosi Leterme ha presentato le dimissioni.

E la crisi di Governo?
Com’è possibile che una questione del genere possa metter in crisi un Governo? Pascal Delwit, politologo alla Libera Università di Bruxelles, sostiene che «dal 2000 assistiamo a un aumento e a un irrigidimento dei conflitti comunitari tra francofoni e fiamminghi. Si tratta della conseguenza di 40anni di riforme che hanno portato le due comunità a vivere ognuna per conto suo. Bhv ne è l’espressione più visibile. Da un lato ci sono i fiamminghi, che chiedono il rispetto dell’identità territoriale delle Fiandre e del suo aspetto “monolingue” fiammingo, dall’altro i francofoni che si basano sul rispetto del diritto della persona a poter vivere ed esprimersi nella loro lingua». Per Philippe Van Parijs, professore all’Università cattolica di Louvain, «questa crisi è l’effetto delle elezioni del 2007. In quel momento i partiti politici fiamminghi e valloni fecero promesse elettorali totalmente opposte, cosa che ha reso impossibile un governo federale stabile».

E cosa è successo?
L’Open VLD (partito liberale fiammingo) ha rifiutato di posticipare la decisione sul futuro di Bhv, alla quale i francofoni si oppongono per proteggere i diritti delle loro minoranze nella periferia di Bruxelles. E la cosa ha messo in crisi, il 22 aprile scorso, il Governo di Yves Leterme, in carica da soli cinque mesi. Delwit così giustifica questa decisione: «Nelle Fiandre, lo scacchiere politico molto frammentato. Il partito con più voti è al 22%, quindi un paio di punti in più o in meno fanno la differenza. In questo contesto, l’Open Vld è un partito che è passato, in questi ultimi anni, dal 24 al 14%. Anche se è riuscito a rimanere nel governo federale, non ci si sente a suo agio e desidera, già da qualche tempo passare all’opposizione. Bhv non è che una scusa per giustificare una manovra politica. Il problema è che il tema degli scontri comunitari non è, per questo partito, un dominio privilegiato. Né, tanto meno, lo è per il suo elettorato». E, effettivamente, gli elettori dell’Open Vld sono una sorta di classe media cittadina, di professioni liberali e di cultura medio-alta, non troppo interessati al discorso nazionalista. Continua Delwitt: «Se al momento delle elezioni il partito si lancerà in questo tipo di dibattito non potrà certo competere con le destre nazionaliste, molto più credibili da questo punto di vista. E non bisogna dimenticare una cosa: facendo cadere il Governo, l’Open Vld si è resto infrequentabile, perdendo ogni credibilità come partner serio di coalizione». Van Parijs sostiene, inoltre, che «i media stanno facendo molti sforzi, da qualche anno a questa parte, per lavorare insieme e cercare di costruire un ponte tre le due opinioni pubbliche. Ma allo stesso tempo sono in parte responsabili della crisi: cercando sempre il sensazionalismo per aumentare la competizione tra i giornali e scrivere quello che la gente vuole sentire». E tutto questo a due mesi dalla Presidenza di turno belga dell’Unione europea, che in tempo di elezioni è difficile da gestire.

E per il Primo Ministro, ormai ex, Yves Leterme, si tratta della terza dimissione. Gli era già successo nel 2008, sempre a causa delle tensioni linguistiche, anche se il re le aveva rifiutate. Alla fine del 2008 non ha però retto lo scandalo della Banca Fortis ed era caduto, per poi tornare per rimpiazzare Van Rompuy che, nel frattempo, è partito alla Presidenza del Consiglio europeo. «Quello di cui il Belgio avrebbe bisogno è un federalismo basato sulle regioni (quattro: Fiandre, Vallonia, parte germanofona e Bruxelles), sopprimendo, allo stesso tempo, le comunità linguistiche», conclude Van Parijs.