Bersani senza cravatta

Marcello Sorgi: "un uso scombinato dello stile scravattato"

Non bastassero le difficoltà che il PD bersaniano trova nel ricostruire un progetto politico efficace, impossessarsi della scena e comunicare se stesso agli elettori, adesso pare affiorare dalle parole dell’ex direttore della Stampa Marcello Sorgi un nuovo problema.
Il look di Bersani.
In effetti, la foto pubblicata da Repubblica domenica a corredo dell’intervista al segretario del PD aveva colpito molti lettori (sicuramente più di quanto avesse fatto il contenuto dell’intervista): la figura intera di Bersani attraversava in uno statuario scontornato le domande e le risposte, ma aveva qualcosa di irriconoscibile.
Niente giaccia, niente cravatta.
Bersani era in camicia, col colletto sbottonato, una condizione consueta a un gran numero di maschi, ma che in Bersani aveva qualcosa di incongruo. Come se mancasse qualcosa, come Topolino senza le orecchie.

Dettagli? Questo abbiamo pensato tutti, ma non Marcello Sorgi. Che oggi sulla Stampa scrive:

Sembrerà strano, per un uomo politico che ha svolto la parte più importante della sua carriera nella Seconda Repubblica, ma uno dei problemi di Bersani rimane il look. Bersani era ed è perfetto quando appare in veste ministeriale, vestito scuro e cravatta, e quando entra nel merito di problemi che mostra di conoscere approfonditamente, come quelli dell’economia del Paese di cui s’è occupato a lungo quando era al governo. Lo è meno nell’abito, ancora forse da disegnare, di leader. Non ha, per intenderci, l’autorità cattedratica fasciata da giacche di sartoria napoletana di D’Alema, forse l’ultimo ad incarnare la figura del «segretario generale» che Vasquez Montalban descriveva sempre assiso «sul baldacchino invisibile su cui sedevano tutti i capi comunisti del mondo». Non ha la familiarità casual di Veltroni, né la capacità di rivolgersi ai giornalisti chiamandoli per nome e creando subito un’atmosfera informale. Nè ha la sofferenza di Fassino, la figura esile accompagnata da un viso scavato e da un’inconfondibile calata piemontese che lo facevano sembrare sempre uscito da una giornata di duro lavoro in fabbrica.

L’articolo di Sorgi è intitolato “Bersani, un leader che ancora non ha trovato un look adeguato al ruolo”. È evidente che quello che sottolinea non è solo un difetto di abiti e apparenza.

Bersani, è evidente, sta cercando di costruirsi una personalità nuova. Funziona bene nel contraddittorio e in genere nel talk-show serali, dove il passato da ministro gli consente di contestare i suoi dirimpettai e snocciolare dati con una certa credibilità. E’ ancora incerto, invece, nella comunicazione in prima persona, per esempio nell’appuntamento quasi quotidiano con il Tg3, dove spesso adopera troppo con gli avversari l’ironia, dando la sensazione di non aver molti argomenti per controbattere; o nelle interviste, anche in quelle stampate sui giornali. Tutto ciò è aggravato da un uso scombinato dello stile scravattato (per esempio, quando si vede bene che il colletto annodato fino a un momento prima è stato slacciato a favore di telecamere), o semisportivo (abiti interi, magari stazzonati da lunghi tragitti in automobile, scarpe classiche e camicie colorate). Sempre meglio di certe imbarazzanti imitazioni di Berlusconi da parte di esponenti secondari del centrodestra. E tuttavia, Bersani farebbe male a trascurare questo aspetto.

Secondo Sorgi, la goffaggine estetica di Gordon Brown costituì un reale problema, nella successione di Tony Blair e della sua sfacciata modernità: ne scrissero i maggiori quotidiani della sinistra britannica. E arrivare dopo la presunta frivolezza veltroniana suggerendo un più austero rigore può essere in effetti una buona idea, basta non esagerare: e anche il rigore va saputo portare. E poi Brown se l’è cavata con la sostanza, conclude Sorgi. Se poi perdesse, che gli resta? Bersani avvisato.